A una come Madeleine Albright, che la precedette nel ruolo di madre badessa agli Esteri, non sarebbe mai capitato. Di alzare il gomito in pubblico, cioè, sgargarozzandosi spensieratamente una birretta come una qualsiasi borghese in discoteca; e poi di scatenarsi in un merengue, o forse era una salsa (dando di sedere, civettuolamente, ancorché metaforicamente, si capisce, a quella Cuba con cui gli States sono in freddo da mezzo secolo. E come si chiamava, il locale dove è partito il tappo alla Hillary? L’Havana! Perché lo sprezzo dei sepolcri imbiancati di Washington fosse completo). Lei, Hillary, già un pochino in là con gli anni e la pappagorgia, circondata da giovanotti che è vero che lavorano per lei, visto che sono sul libro paga del Dipartimento, ma è anche vero che hanno una buona trentina d’anni in meno, quei boys; e il contrasto, a voler essere forse eccessivamente severi, è risultato un pochino stridente.
A una come la Albright non sarebbe accaduto, si diceva. Ma neppure a lei, nei molti anni che seguirono l’affaire che vide coinvolto il suo presidenziale marito, Bill, sputtanato urbi et orbi dalla stagista Monica Lewinsky. Mortificata eppure indomita nel ruolo di moglie cornuta ma straordinaria nella sua gelida perseveranza di custode del focolare, Hillary ha proceduto una stagione dopo l’altra con la stessa spavalda sicurezza di un incrociatore da battaglia. Sopracciglio inarcato, un sorrisino di disprezzo perennemente stampato sul volto, il mento levato sdegnosamente al cielo. Per anni Hillary Clinton, anche nelle immagini in cui sembrava più distesa, dava la sensazione di aver apparecchiato quei suoi sorrisi tenendoli insieme col fil di ferro. Faceva venire in mente Dolores Umbridge, sottosegretario anziano del ministro della magia Cornelius Caramel in uno degli episodi di Harry Potter. Melliflua, leziosa e detestabile, perennemente vestita di rosa (variante fucsia), ossessionata dal potere e dalla disciplina: ve la ricordate, no?
Be’, l’altra sera, quella andata in pista al cafè Havana di Cartagena, in Colombia, era una Hillary completamente diversa. Una sorta di «coda» di quell’effetto euforizzante che nei giorni scorsi aveva contagiato i «men in black» del presidente, pizzicati in un festino a base di «senoritas». E il pubblico? In delirio, naturalmente, con i sombreri che volavano alti, e grida di «viva l’America», come non se ne sentivano da decenni da nessuna parte nel mondo.
Tutto il giorno se n’era andato tra discorsi ufficiali, foto di rito col presidente colombiano Juan Manuel Santos in camicia bianca portata spiritosamente fuori dai calzoni, firme di interminabili papiri, prolusioni di ministri e sottosegretari. C’era il Vertice delle Americhe: una noia mortale. Sicché, dopo una cena a schiena dritta e in punta di forchetta, via le stecche di balena del protocollo, aria ai pensieri, un po’ di musica e una birretta. Ed ecco a voi una Hillary sconosciuta: allegra, sorprendente, forse felice. «Carramba che sorpresa», titolavano ieri i giornali locali, dedicando alla serata cronache puntigliose in cui anche le maracas acquistate da Hillary da un venditore ambulante all’interno del locale hanno avuto una fervida citazione.
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