Guai col passaporto Ora Cesare Battisti rischia l'espulsione

Non è bello, non è neppure elegante augurare a qualcuno di finire in carcere. Ma per Cesare Battisti, il comunista pluriomicida graziato a suo tempo da una scuola di samba di San Paolo del Brasile che pensò davvero di essere un Tribunale, faremo un'eccezione. I quattro morti ammazzati che ha sulla coscienza, gli anni di latitanza e gli sberleffi indirizzati prima dalla Francia e poi dai dintorni del Maracanà ai familiari delle sue vittime e ai suoi giudici naturali ci paiono un motivo necessario e sufficiente al suo collocamento nelle patrie galere. E pazienza se di questi tempi ci si sta un po' strettini. Uno strapuntino, per lo smargiasso ex militante dei Proletari Armati per il Comunismo che in Brasile gode di asilo politico grazie alla clemenza dell'ex presidente Lula; uno strapuntino, si diceva, si troverà certamente.
Certe notizie in arrivo da Rio de Janeiro fanno sperare che la grazia di riaverlo in Italia (una grazia a rovescio, dunque, per il trionfo del paradosso) forse si riuscirà ad ottenerla, infine. Dicono infatti che il Supremo Tribunale di giustizia brasiliano ha respinto il ricorso dell'ex terrorista per la revisione di una condanna per l'uso di timbri falsi sul passaporto. Di qui il rischio di essere espulso, e di ritrovarsi sparato su un posto di prima classe su un jet per l'Italia. Una bagattella, no? questa storia dei timbri per uno che ha quattro morti sulla coscienza. Ma fu per una bagattella come certe tasse non pagate che si riuscì infine a mettere il sale sulla coda a un furbastro come Al Capone. Battisti, lo ammise lui stesso, aveva taroccato il suo passaporto per garantirsi la permanenza in Brasile durante la latitanza. Taroccato, oltre ai timbri, era anche il passaporto, che il killer dei Pac aveva usato per entrare in Brasile come cittadino francese. Dunque?
Secondo il Tribunale, una copia della sentenza verrà ora inviata al ministero della Giustizia, «per le eventuali decisioni in merito».
E siccome la legge prevede l'espulsione immediata per gli stranieri che falsificano documenti per entrare o restare in Brasile… Ma il caso del compagno Battisti, una specie di «eroe dei due mondi» per i compagni di questa e quell'altra sponda dell'Atlantico, è un po' particolare, il governo brasiliano avendo prima negato l'estradizione chiesta dall'Italia e avendogli poi concesso un visto di lavoro permanente.
L'ultima volta in cui il ciuffo di Battisti e il suo sguardo spiritato da sorcio braccato furono sfiorati dalla prospettiva di un lungo soggiorno nelle patrie galere fu due anni fa, proprio di questi tempi.
Fu allora che l'ex proletario armato per il comunismo, evocando quella prospettiva in un'intervista con Causa Operària, «verdadeiro partido dos trabalhadores» (dunque per definizione «independente, de luta, e socialista») parlò di «vendetta tardiva».
Non giustizia, dunque, quella italiana, secondo lo spudorato Battisti; ma vendetta, e per soprammercato «tardiva», consumata fredda, per così dire.


Come se quattro morti ammazzati, essendo passato un bel po' di tempo dagli anni di piombo, potessero finire in cavalleria, nel solaio dei ricordi: loro, e l'immenso bagaglio di dolore, di afflizione, di sconquasso patito dai Torregiani (il padre ucciso, il figlio Alberto paralizzato) e dai familiari di Lino Sabbadin, Antonio Santoro e Andrea Campagna, gli altri italiani ammazzati dalla faina in fuga che da anni continua a sfangarla, grazie alla solita compagnia di giro di «progressisti» in cui militò, qualche anno fa, anche la signora Carla Bruni.

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