Carlos Carralero, scrittore cubano in esilio, presidente dell'Unione per le Libertà a Cuba non abbocca. «No, semplicemente non ci credo, non credo che Cuba cambi volto, che lasci davvero uscire o entrare nel Paese chi vuole». Ieri la notizia è rimbalzata in tutto il mondo: dopo mezzo secolo i cubani non dovranno più chiedere un permesso per lasciare l'isola. Qualcuno grida «vittoria», «libertà», una riforma rivoluzionaria, che promette di cambiare la vita della gente. Carralero ha l'accento rotondo e strascicato di Cuba. Ha la voce dolce, ma le parole che dice sono di fuoco e malinconia, commozione e pena di un uomo di settantadue anni che da diciassette vive a Milano come esule. La sua isola è lontana, Cuba non sarà libre. «Non finche ci sarà Castro al potere. Che sia Fidel o il fratello Raul poco cambia». A settantadue anni deve accontentarsi di guardare dalla fessura di internet per ritrovare il suo paese, la sua gente. «A volte mio fratello mi scrive una mail, lui è rimasto là. Ogni volta scrivermi è un rischio. Non ho altro che una lettera ogni tanto».
Questa riforma promette che si potrà lasciare il Paese senza difficoltà, perché non gioisce?
«Perché non cambierà niente. È fumo negli occhi. L'ho imparato ormai da tempo. Dei due fratelli Castro non c'è da fidarsi. Per i medici, gli sportivi di livello e i dissidenti politici non cambierà niente, resteranno comunque prigionieri di Cuba».
Perché è cosi sicuro?
«C'è scritto anche nella norma. Hanno già messo le mani avanti, specificando che le eccezioni ci saranno. E non è difficile indovinare chi ci andrà di mezzo».
E allora perché questa riforma?
«Fumo negli occhi per la gente comune. Due i motivi principali che muovono il regime. Da un lato quello economico: puramente economico. Il governo vive del sacrificio della gente, non c'è riforma da cui non abbia guadagnato bene. Le leggi dell'immigrazione sono durissime e soprattutto uscire è carissimo. E continuerà ad esserlo. La gente comune farà fatica a pagarsi il visto, ma farà sacrifici enormi per ottenerlo. Per ottenere la famosa Carta blanca (Castro è un genio dell'eufemismo) il cittadino ha sempre dovuto sborsare più di cento dollari. Un vero tesoretto. Lo stipendio al mese è di 14 dollari. Oggi, molte più persone, attirate dall'idea di poter riabbracciare i propri cari, farà mille sacrifici per viaggiare, i parenti emigrati manderanno i soldi per la felicità delle casse dello Stato.
E il secondo?
«Castro e le libertà che avanzano, ormai è un richiamo fortissimo, una questione di apparenza irrinunciabile. Così le sinistre internazionali avranno gioco facile a dire: Ve lo avevamo detto, visto che il regime a Cuba non esiste? Visto che i cattivi sono gli altri?».
Cosa le da più fastidio degli amici di Castro?
«L'ipocrisia. Parlano di blocco, denunciano l'embargo. Ma la verità è che gli Stati Uniti sono il quinto partner commerciale di Cuba. Pensi che ogni giorno sull'isola atterrano dieci aerei dagli Usa. Eppure il solito gruppo continua senza fantasia a idolatrare Castro, questo dittatore dall'aria bonaria, un «Dictator con suerte» come diciamo noi, un dittatore fortunato perché ha sempre ispirato simpatia, anche se è davvero stato un sanguinario. Ormai sono 7 mesi che non si fa vedere, e non per sua volontà, ormai è patetico, le ultime uscite pubbliche erano state improponibili».
Per il Paese meglio Raul?
«Lui è un dittatore improvvisato, senza scrupoli, ma dal fratello ha imparato bene a dare ordini. Questo è il suo momento, lui che lo ha sempre seguito come un'ombra dal 53, ora è finalmente al comando. Tutte le riforme sulla libertà sono fumo negli occhi».
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