La "presidente di ferro" che guida Seul alla guerra

Park Geun Hye, prima leader donna nella storia della Corea, ordina ai suoi generali "una reazione dura" alle minacce del Nord

La "presidente di ferro" che guida Seul alla guerra

Park Geun Hye, 61 anni, prima donna presidente della Corea del Sud, e finora considerata cauta e misurata, ha dimostrato ieri di avere la stessa tempra di suo padre, il dittatore che regnò con pugno di ferro sulla nazione asiatica dal 1961 al 1979 e presiedette alla sua trasformazione da arretrato Paese agricolo in grande potenza industriale. Di fronte alle reiterate minacce di attacco e alla provocatoria «cancellazione» dell'armistizio del 1953 da parte di Kim Jong-un, il giovane dittatore del Nord, ieri ha risposto per le rime. «Considero queste minacce molto serie», ha detto ai suoi generali, ordinando loro «una risposta forte e immediata a qualsiasi provocazione da parte della Corea del Nord, senza considerazione per le sue conseguenze politiche».

Questo significa che, al contrario di quanto è avvenuto in passate occasioni, in particolare nel 2010 quando i nordisti affondarono una corvetta sudista senza subire ritorsioni, l'esercito di Seul reagirà automaticamente, prima ancora di ricevere ulteriori ordini presidenziali: e nella penisola coreana potrebbe riaccendersi il conflitto terminato 60 anni fa, ma rimasto sempre latente lungo quel 38° parallelo considerato il confine più militarizzato e pericoloso del globo.

La presa di posizione della signora Park segna il culmine di una settimana di tensione crescente, contrassegnata da una raffica di minacce di Kim non solo alla Corea del Sud, ma anche agli Stati Uniti, che hanno suscitato allarme nel mondo intero. Per ritorsione contro le annuali manovre militari coreano-americane e contro il nuovo round di sanzioni comminategli dall'ONU - con l'assenso anche dell'amica Cina - in seguito all'esperimento nucleare di febbraio, il ventottenne Kim, forse ansioso di consolidare il suo prestigio interno, ha cominciato a fare fuoco e fiamme: ha messo in massimo stato di allerta le sue unità missilistiche, ha preannunciato bombardamenti non solo alle basi statunitensi in Asia ma addirittura un attacco atomico contro il continente americano, ha proclamato un ritorno allo stato di guerra e tagliato le cosiddette «linee rosse» tra i due schieramenti, installate in tempi più tranquilli per evitare incidenti. Gli USA hanno reagito facendo sorvolare la penisola dai loro superbombardieri e annunciando l'installazione in Alaska di una catena di missili-intercettori, ma anche reiterando il loro invito a riprendere i negoziati per la denuclearizzazioine della penisola interrotti nel 2008. Secondo gli analisti del Pentagono, comunque, le minacce di Kim sono irrealistiche, perché la Corea del Nord, pur possedendo un imponente arsenale missilistico, non è ancora in grado né di raggiungere gli Stati Uniti e neppure di trasformare i due-tre ordigni nucleari di cui probabilmente dispone in testate adattabili ai suoi razzi. Per quanto nessuno escluda la possibilità di un gesto di follia del giovane dittatore, gli americani sono più inclini a considerare i suoi discorsi non tanto una dichiarazione di guerra, quanto l'ennesimo tentativo di ricatto per ottenere gli aiuti alimentari di cui il suo Paese ha da sempre estremo bisogno: una tattica già usata, con successo, in passato.

Sabato Kim ha gettato nuovo olio sul fuoco ribadendo, in una seduta straordinaria del Comitato centrale del partito che non si riuniva da 20 anni, di non avere alcuna intenzione di rinunciare alla bomba: «L'atomica - ha detto - è un tesoro che non sarà scambiato neppure contro miliardi di dollari, perché rappresenta la vita della nazione e non può essere abbandonato fino a quando ci saranno sulla terra imperialisti e minacce nucleari». Tuttavia, ha aggiunto che la costruzione di un arsenale atomico è compatibile con lo sviluppo economico del Paese; e, significativamente, non ha chiuso il complesso industriale di Kaesong, unico esempio di collaborazione tra Nord e Sud da cui Pyongyang attinge una parte considerevole della sua valuta pregiata.

C'è ora grande attesa su come il Nord replicherà alla signora Park. Kim sa che, se lanciasse davvero un attacco contro il Sud, gli americani non esiterebbero a correre in aiuto della loro alleata, già molto popolare a Washington, e ridurrebbero il suo Paese in macerie. Ma potrebbe ricorrere ad armi più subdole, come cyberattacchi sul modello di quelli già tentati oppure incursioni non direttamente riconducibili agli alti comandi.

La Corea del Nord è il Paese più chiuso del mondo e il suo leader, da poco succeduto al padre è un enigma anche per la CIA. Certo, non è in grado di distruggere Los Angeles e nemmeno le Hawaii. Ma, con un gesto sconsiderato, potrebbe scatenare un conflitto che coinvolgerebbe tutta l'Asia orientale.

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