di Livio Caputo
Se guardiamo a quello che sta succedendo in queste ore negli Stati Uniti, i problemi che affliggono l'Europa in generale e l'Italia in particolare appaiono ridimensionati. Poiché il Senato a maggioranza democratica e il Congresso a maggioranza repubblicana non sono riusciti a trovare un compromesso sul bilancio provvisorio che doveva entrare in vigore il 1° ottobre, 800mila dipendenti federali sono rimasti a casa senza stipendio, uffici pubblici, musei e parchi nazionali sono stati chiusi e - se non si arriverà presto a un accordo - perfino il personale civile delle Forze armate e i dipendenti delle varie agenzie preposte alla sicurezza potrebbero essere messi a riposo. Ma anche se il presidente Obama sostiene che lo «shutdown», la chiusura (la prima in 17 anni, l'ultima fu sotto Clinton) avrà sull'economia un impatto paragonabile a quello della seconda guerra mondiale, gli americani non sembrano preoccuparsi più di tanto: Wall Street ha chiuso addirittura in positivo e perfino a Washington, la città più colpita, non ci sono stati né drammi né marce di protesta. La gente sembra avere accettato la parziale paralisi dell'apparato dello Stato come una conseguenza inevitabile della lotta politica e non un'apocalisse come invece in Italia la maggior parte dei media presenta l'ipotesi di una caduta del governo. Ci sono alcune analogie tra la crisi americana e quella italiana. A Washington, la materia del contendere è il finanziamento della riforma sanitaria di Obama, da sempre avversata dai repubblicani e approvata solo dopo una lunga ed accanita battaglia parlamentare. Per questo, il Congresso ha condizionato il suo sì al bilancio al rinvio di un anno della entrata in vigore della riforma, e il Senato, anche sotto la spinta della Casa Bianca, ha detto di no. Ogni tentativo di compromesso è naufragato davanti alla rigidità delle parti: la conseguenza è che le possibilità di spesa dello Stato federale e la sua conseguente disponibilità a pagare gli stipendi sono state sospese (anche se le Forze armate e molti servizi essenziali sono esentati). In Italia, al posto dell'Obamacare abbiamo Iva ed Imu, ma lo scontro ha alcune caratteristiche simili: Senato e Camera hanno maggioranze diverse e lo scontro tra i partiti si basa in larga misura su ragioni di principio. La differenza è che in America lo shutdown non farà cadere il presidente, ma, se si protraesse per diversi giorni, o addirittura fino al 17 ottobre, quando il Congresso dovrà votare l'autorizzazione a un aumento del debito pubblico (necessaria per evitare un sia pur teorico default), potrebbe avere conseguenze ben più gravi di un ricorso anticipato alle urne nel nostro Paese. Come in Italia molti non capiscono la ratio della decisione di Berlusconi di aprire la crisi, così in America molti sono perplessi della durezza con cui i repubblicani combattono quella che in fondo è una battaglia di retroguardia. Il fatto è che essi hanno fatto della lotta a Obamacare, che considerano costosa, inefficiente e soprattutto prevaricatrice della volontà dell'individuo, una specie di missione. Sanno di rendersi impopolari presso una parte della popolazione, con il rischio di perdere il voto di midterm del 2014, ma antepongono le ragioni di principio alla convenienza elettorale: è un Paese dove la politica ancora rivendica il suo primato.
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