Mondo

Sparatoria nella sede della Marina Usa: Washington nel caos

«Non essendo il quartier generale della Cia, a Langley, o il Pentagono, come set cinematografico ci è parso subito alquanto incongruo», ha raccontato Jimmy Nevado, uno dei testimoni. «Poi, quando ho visto quel tipo, alto e grosso, uno di colore, con quel fucile imbracciato, e nessuna cinepresa in giro, ho capito. Ma qui in America, certe volte, non sai se sei capitato in una fiction, o se volano pallottole vere».
Jimmy Nevado era con la moglie Dolores al bar del vecchio Arsenale della Marina, a Washington, quando si è scatenata la sparatoria; ma che alla fine ci fossero stati 12 morti e un bel po' di feriti lo ha appreso dalla televisione tre ore più tardi, quando ha trovato il coraggio di uscire da dietro il bancone del bar, dove si era tuffato insieme con Connie e altre decine di avventori. Poi, una decina di minuti dopo i primi colpi c'è stata quella comunicazione: una voce che usciva da un altoparlante piazzato su un palo vicino all'ingresso del bar. «Qui è il quartier generale del Naval Sea Systems Command. Tutte le persone nell'area devono trovare riparo e non muoversi fino a nuovo ordine». Così diceva la voce. Ma io e Connie, anche senza quell'avviso - ha raccontato più tardi Jimmy alla CNN - non ci saremmo mossi per tutto l'oro del mondo».
Otto morti al «Navy Yard», nella zona sud orientale della capitale. E non si capisce se, uscita presto di scena l'ipotesi terrorismo, sia una sorta di regolamento di conti tra militari, come in un western, o un'esplosione di rancori contro l'istituzione di elementi in qualche modo legati a questa che essendo stata fondata nel 1799 è la più antica sede «di terra» della Marina Militare Usa. Che la sparatoria abbia a che fare con la seconda ipotesi è avvalorato dal fatto che uno degli sparatori (perché pare che fossero due, se non tre) poi colpito a morte dalla polizia è un cinquantenne che aveva lavorato per la Marina prima di essere allontanato dal ruolo che occupava.
Due killer, dunque. E un terzo forse in fuga. E due, almeno, vestiti da militari; forse non in divisa, ma in mimetica, o qualcosa del genere. La situazione era però ancora così confusa, e i racconti così contraddittori, come a metà pomeriggio ha dovuto ammettere lo stesso presidente Obama, che si è dovuto attendere a lungo prima di avere un quadro più nitido della situazione. Due degli sparatori sarebbero stati «neutralizzati», ha detto a un certo punto del pomeriggio un portavoce della Marina, rifiutandosi di spiegare se voleva dire uccisi o arrestati. Mentre del terzo, posto che un terzo ci sia, fino a sera non si sapeva nulla.
È cominciato tutto alle 8.20 (le 14.20 in Italia), ma già mezz'ora dopo sulla verticale della sparatoria orbitavano tre elicotteri, mentre tutta l'area, ingresso dopo ingresso, veniva sigillata dalle forze dell'ordine e presidiata da una trentina di agenti speciali della stessa squadra antiesplosivi impiegata per la cattura dei responsabili dell'attentato alla maratona di Boston.
Uno dei killer - un uomo di colore calvo, alto e grosso - si era barricato in una stanza dell'edificio dove ha sede il Naval Sea Systems Command. E da qui ha aperto il fuoco sulla gente che in quel momento affollava la sottostante caffetteria. Mentre altri testimoni hanno riferito di un secondo uomo armato, anche questo scuro di carnagione, che sparava in un corridoio.
In un lampo, il meccanismo di reazione rapida americano, testato tante volte dopo l'11 Settembre, è entrato in azione. Strade d'accesso all'area chiuse, bloccato e poi riaperto l'aeroporto Reagan, sicurezza rafforzata, scuole del circondario chiuse, la Casa Bianca che chiede dagli schermi delle tv ai cittadini di «ascoltare le autorità e seguire le indicazioni».

Un'altra giornata americana, insomma, in cui sembra di essere tornati sulla vecchia «frontier».

Commenti