La voglia di censurare il film una sconfitta per l'Occidente

Monta uno sgradevole, disturbante senso di colpa, di disagio ipocrita e un filino servile nei confronti del mondo islamico. Il motivo va cercato lì, nei catastrofici, sanguinosi effetti prodotti da un film imbecille prodotto in Usa da un gruppo di scervellati la cui colpa principale non è quella di aver offeso il Profeta, ma di aver prodotto un'opera scombiccherata, a metà tra il demenziale e il cretino. E tuttavia accade di peggio. Perché accanto al senso di colpa - come se l'idea o il gesto di un singolo imbecille (e in America, come nel resto del mondo, gli imbecilli sono funesta maggioranza) dovesse coinvolgerci tutti e farci sentire tutti colpevoli - lievita anche una voglia di censura e di autocensura degna di altre epoche e di altre stagioni politiche.
Una censura «con lo sterzo», oltretutto; dove le libertà di pensiero, di espressione, di parola - quando dovessero disturbare, anche solo in ipotesi, la sensibilità del mondo islamico più retrivo - potrebbero essere appunto sottoposte alla censura preventiva di un sinedrio che dice se, come e quando. Proprio come andava di moda nel Ventennio fascista e nel Settantennio comunista. (Mentre per le barzellette che hanno per protagonisti Gesù, la Madonna e il Padreterno ci si può accomodare tranquillamente, come si è sempre tollerato, facendosi un baffo della sensibilità dei cristiani).
Quando mai si era vista una Casa Bianca tentennare così vistosamente -a parte le prese di posizione di maniera- di fronte agli attacchi di turbe di fanatici che nella loro ebrezza distruttrice se la sono presa anche con le ambasciate di Paesi europei sparse per il Nord Africa e il Maghreb? Quando mai si era vista una casa Bianca chiedere a quelli del motore di ricerca Google - oh, con molta buona grazia e felpate giustificazioni, certo - di rimuovere da You Tube (Google ne ha la proprietà) il controverso film su Maometto? E quando mai vi sareste aspettati di leggere sul web la giustificazione imbarazzata di un funzionario di Google -proprio loro: le intransigenti vestali della libertà totale di You Tube, dove si trova di tutto e di più- che mentre annuncia il rifiuto dell'azienda alle richieste di Washington ammette che il filmato è già stato espunto, per motivi di opportunità politica, per così dire, in India e in Indonesia? E già che c'erano, anche in Libia? Ah, sì, in effetti, ehm, anche in Egitto?
Il produttore del film, tal Nakoula Basseley Nakoulaun, cristiano copto di origine egiziana, può dirsi soddisfatto. La sua provocazione è perfettamente riuscita. E soddisfatto potrà dirsi anche il regista, Alan Roberts, al secolo Robert Brownell, che a 65 anni ha finalmente raggiunto la notorietà dopo aver bordeggiato tutta la vita tra pellicole porno come La giovane Lady Chatterley e scemate a colori come Karate Cop.
In vena di autocensura, per venire da noi, in Europa, sembra anche l'ex ministro della Giustizia francese, l'eurodeputata di origine marocchina e algerina Rachida Dati, che si chiede «se non potremmo fare di più per impedire la diffusione di questa robaccia». Salvo poi aggiungere, in tardiva retromarcia: «Non si tratta di limitare la libertà di espressione, ma dell'odio razziale e religioso il mondo può fare a meno».
Fra i pochi a non aver perso il senso delle proporzioni, in tutto questo, è per paradosso la Tunisia, il cui partito islamico moderato al governo ha condannato l'attacco di sabato all'ambasciata degli Stati Uniti a Tunisi. Sono stati proprio i giovani del partito al potere, Ennahda, a riconoscere che le violenze come quelle inscenate da gruppi radicali sabato scorso «minacciano i progressi del Paese verso la democrazia dopo decenni di dittatura».

Ma sembrano gli unici, i musulmani tunisini, a mostrare moderazione e senso delle proporzioni di fronte a un episodio scopertamente strumentalizzato per appiccare l'incendio ai quattro angoli del mondo.
Già, perché le proteste ieri sono arrivate fino alle Maldive e all'Australia, dove la polizia, intuendo che non si trattava di una cosa seria, ha affrontato i manifestanti «sparandogli» contro certi spray al pepe.

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