Antonio Signorini
da Roma
La concorrenza cinese non si limita alle magliette e ai prodotti tessili di bassa qualità. Lultimo allarme dellUnione europea ci tocca da vicino perché riguarda le scarpe e cioè un prodotto che è sempre stato un punto di forza del made in Italy. Una manifattura necessariamente di qualità e che per questo si pensava fosse meno esposta al dumping del gigante asiatico. Così non è stato e ieri dal sistema di sorveglianza di Bruxelles è arrivata la notizia che tra il gennaio e laprile scorso cè stato un aumento delle importazioni del 700 per cento.
Il conto di cosa significhi linvasione delle scarpe cinesi per lItalia lha fatto lAssociazione nazionale calzaturieri: per questanno sono in pericolo 30-40mila posti di lavoro su un totale di 101mila addetti che conta il settore dopo lultimo salasso da 8.000 posti subito lanno scorso. Il dettaglio dei dati italiani lha dato il viceministro alle Attività produttive Adolfo Urso: tra gennaio e aprile sono entrate nel Belpaese 161,9 milioni paia di scarpe dei tre categorie per le quali lEuropa ha liberalizzato il commercio. Per la maggior parte, 110 milioni, si tratta di calzature tessili, mentre quelle realizzate in pelle non arrivano ai 39 milioni. E su questo lItalia è in controtendenza perché in tutta lUe ad aumentare sono state proprio alcune tipologie di scarpe in pelle, con punte del 1.415 per cento. Il tasso di crescita rispetto allanno scorso per quanto riguarda lItalia è stato del 581 per cento, quindi meno marcato rispetto alla media Ue. Il giro di affari delle scarpe ha raggiunto un livello di tutto rispetto con un «fatturato» di 481 milioni di euro. È un «allarme rosso e lUe deve intervenire», ha commentato il viceministro con delega al commercio con lestero.
Per il momento, però, la Commissione europea non ha in programma niente. Il portavoce del commissario al commercio Peter Mandelson ha detto che per ora lesecutivo europeo non ha intenzione di prendere provvedimenti antidumping contro la Cina, ma non esiterà a farlo se ci fossero prove chiare di irregolarità nelle esportazioni di calzature. La Confederazione europea dellindustria calzaturiera aveva chiesto già qualche mese fa di attivare le procedure per 33 voci doganali e il mese scorso Urso annunciò al Giornale di aver richiesto alla commissione europea procedure antidumping sul settore calzaturiero. Ora, a difesa della concorrenza sleale, ci sono due possibili strumenti di tutela: i dazi antidumping, che - spiega il viceministro - «possono essere imposti sulle calzature cinesi se i produttori vendono scarpe in Europa sottocosto». Poi «misure di salvaguardia speciale, che possono prevedere quote tariffarie allimport di calzature qualora tali importazioni siano abnormi e tali da arrecare grave danno alle imprese dellUe».
Nei rapporti tra il Vecchio continente e la Cina pesano anche fattori non economici. Secondo leconomista Mario Deaglio «La vera posta in gioco è la revoca dellembargo delle armi dellUnione europea alla Cina, cosa ovviamente osteggiata dagli Stati Uniti». Il messaggio della classe dirigente di Pechino sarebbe insomma questo: «Revocateci lembargo così da poter equipaggiare i nostri aerei con lelettronica europea». Pena la rovina delle industrie europee.
Non solo di quella tessile e calzaturiera, visto che linvasione cinese si sente anche su altri prodotti. Ieri gli agricoltori italiani della Cia hanno addirittura denunciato un «invasione di ortofrutta» cinese, con un import cresciuto del 250 per cento nel giro di dodici mesi. Confartigianato ha lanciato lallarme per altri settori con lacqua alla gola.
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