Dedicato a Ezio Mauro.
Il guaio peggiore per i giornalisti non è, come si crede, ciò che non si può scrivere. Ma l’opposto: ossia ciò che si è pubblicato. Nemesi dell’informazione usa-e-getta, il quotidiano del giorno prima sarà anche buono solo per avvolgere le trote, ma quello di dieci anni fa può rivelarsi utilissimo per incartare uno squalo.
Dieci anni fa, quando scoppiò il sexgate che travolse Bill Clinton dando una improvvisa scossa alla solida democrazia americana, la peraltro equilibrata Repubblica - diretta allora come oggi dall’equilibrista Ezio Mauro - affrontò l’affaire Lewinsky con tutto lo sdegno di cui può essere capace un indipendente e imparziale organo d’informazione. E cioè: stigmatizzando con una decisa impennata deontologica l’interesse morboso riservato dalla stampa agli aspetti più intimi della vicenda; condannando con un’alzata d’orgoglio morale la gogna mediatica a cui era sottoposto il presidente Clinton; deplorando con un esemplare senso della correttezza giornalistica la vergognosa pruderie con la quale certi media mescolavano notizie e indiscrezioni per colpire un uomo politico. Confondendo - per di più! - la vita privata con la dimensione pubblica.
Era il 16 settembre 1998, pochi giorni dopo che il procuratore Kenneth Starr (vedendo profilarsi all’orizzonte, dopo tre anni spesi inutilmente sullo scandalo Whitewater, il sogno di una vita, quello di incastrare Bill Clinton) aveva avviato la procedura di impeachment nei confronti del presidente, quando il direttore di Repubblica Ezio Mauro intervistava sulla vicenda l’Avvocato Gianni Agnelli. Titolo dell’articolo (profetico, ieri): «Clinton resterà». Occhiello (ipocrita, oggi): «Ma è mostruoso questo processo mediatico».
Indignato per il «momento di confusione e disorientamento in cui la morale e la democrazia si mescolano in uno scandalo sessuale che si è ormai trasformato in dramma politico», Ezio Mauro - uno che nel 1992, anno di Tangentopoli, dal suo ufficio di direttore della Stampa ogni sera decideva telefonicamente con i colleghi Mieli, Scalfari e Veltroni i titoli d’apertura del giorno dopo dei rispettivi giornali - incalza l’Avvocato sul delicato tema del rapporto «tra il potere, la libertà e la verità».
«Ma non Le sembra assurdo che l’America distrugga la sua leadership per uno scandalo sessuale, in un momento di forte consenso per il presidente?», chiede retoricamente Mauro. «Ma Clinton è stato un buon presidente?», domanda subito dopo, sperando già la risposta («Un ottimo presidente»). E soprattutto, partecipe allo sgomento di Agnelli per il fatto che le carte giudiziarie fossero finite su Internet («Un circuito infernale. Anzi, un cortocircuito tra democrazia, morale, politica, assemblearismo, populismo»), rincara la dose ammiccando subdolamente il quesito decisivo: «Qualcosa che serve a emozionare la gente più che a informare i cittadini?», vero eh? Cosciente della pericolosità con la quale può essere brandita la clava dell’informazione, Ezio Mauro non può che condividere la risposta tranchante dell’Avvocato: «È un meccanismo più adatto a una dittatura che a una democrazia. Ancora un passo, e si potrebbe far assistere la gente a un processo via Internet, per poi farle decretare in diretta l’impiccagione, con sentenza universale, sommaria e spaventosa». Concludendo, non sappiano se più con tono retorico o snobistico: «Avvocato, tutto ciò in Europa non succede. Siamo più saggi o più ipocriti?». Detto così, secondo noi, che da 55 giorni ci sorbiamo i tuoi titoli cubitali tipo «Ragazze slave a Villa Certosa: erano vestite da Babbo Natale» oppure «La farfalla, la tartaruga, i bracciali: i regali di Papi alle giovani amiche», propenderemmo per la seconda delle due, gentile Ezio Mauro. Purtroppo, caro direttore, ci hai dimostrato che da noi può succedere anche peggio. Come hai titolato un tuo editoriale in pieno Noemigate, «Dov’è la vergogna». Senza punto di domanda.
È ormai entrata nella aneddotica del giornalismo, che come è noto fa testo quanto il gossip, quella volta che alla Stampa, a tarda sera, arrivò una notizia che costrinse a sbaraccare la prima pagina, e il direttore e la redazione si gettarono freneticamente nel lavoro fino a che, compiuta l’impresa, in pieno choc adrenalinico Ezio Mauro esclamò: «Ragazzi, ma non è meglio questo di una scopata?». Retrospettivamente, ci sentiamo di condividere la risposta laconica di uno dei suoi redattori: «Parla per te».
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