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Facciamo una statua ai sindaci del «Veneto felice»

Dovreste fargli un monumento, a Giancarlo Gentilini prosindaco di Treviso, e invece gli riservate sorrisini sprezzanti e manifestazioni di protesta. Dico a voi, scrittori veneti che sabato pomeriggio in piazza dei Signori, ombelico della Marca, monterete un «reading antirazzista» chiamando a raccolta la letteratura presente e passata per darla in testa agli odiati sindaci leghisti.
Tanto per cominciare vi notifico che la letteratura veneta non è cosa vostra, non avete il diritto di monopolizzarla e strumentalizzarla. Lo so che vi piace dipingere gli amministratori veneti e i loro elettori come analfabeti beoti, forse anche beoni. Purtroppo per voi fra i simpatizzanti di Gentilini, Bitonci, Tosi e compagnia bella ci sono anch’io, che sono cresciuto a pane e Comisso e a pasta e Zanzotto, e che da anni rompo l’anima ai capi delle pagine culturali perché mi concedano spazi per recensire Carolus Cergoly e Biagio Marin, meravigliosi e misconosciuti poeti triveneti del Novecento. Voi questi autori li usate in chiave anti-leghista ma chiunque li abbia davvero letti potrebbe usarli per finalità opposte. Chi di strumentalizzazione ferisce di strumentalizzazione perisce. Marin elogiava i confini e parlava di «religione della Patria», mi raccomando la P maiuscola. Guido Piovene era un fior di conservatore, felice del fatto che a Bassano il famoso ponte fosse stato ricostruito «tal quale». Giuseppe Berto amava pavoneggiarsi in divisa e stivaloni, proprio a Treviso, e nel Male oscuro mostrò quel sentimento che oggi voi chiamate omofobia. Giovanni Comisso fu legionario fiumano, un dannunziano col pugnale in mezzo ai denti: se provate ad arruolarlo fra i maestrini della tolleranza vi rendete più ridicoli di quello che già siete. Rassegnatevi: i maggiori scrittori veneti del Novecento sono dei proto-leghisti. Per quanto riguarda gli autori contemporanei ho il sospetto che molti simpatizzino per Gentilini di nascosto: a scoprirsi c’è il rischio di non essere più invitati nei convegni. Perché alla fine i veri razzisti, i veri discriminatori, mi sa proprio che siete voi, cari amici antirazzisti. Ferdinando Camon, collaboratore dell’Unità, mica della Padania, lo ha quasi ammesso: «L’ordine e il decoro regnano a Treviso, e non sono cose da poco». E tra i giovani leggete Marco Mancassola: «A Verona ho un rifugio, piazza Dante, che è silenziosa, protetta». Oppure Mattia Signorini, scrittore classe 1980: «Rovigo quando è avvolta dalla nebbia la sento come una grande mamma che mi protegge». Entrambi parlano di protezione, quindi di sicurezza, perché è un bisogno primario, avvertito da chiunque, non solo da quei buzzurri che secondo voi sono gli elettori del centrodestra. Per Baudelaire gli ingredienti del paradiso in terra sono «lusso, calma e voluttà». Ecco perché dovreste fargli un monumento, a Gentilini. Perché fa il lavoro sporco che vi permette di vivere in una città pulita. Perché la sua Treviso realizza nella modernità ciò che Comisso definì «Veneto felice», un ducato tranquillo, benestante e godereccio dove è più facile vivere e anche scrivere.
Vitaliano Trevisan, uno dei vostri, lo detesta per il suo linguaggio: certo, Gentilini usa il dialetto e il dialetto non conosce eufemismi, è genuino, diretto, è dolce e crudo insieme.

Voi pensosi intellettuali approvate il dialetto solo quando è sterilizzato, omologato, quando non fa sobbalzare, quando è filtrato dall’ideologia come quello che usa Marco Paolini, sior Vajont, il più famoso dei comizianti di piazza dei Signori. Siete degli aspiranti censori e magari siete anche degli invidiosi: sapete perfettamente che il più vicino alle sorgenti della lingua è lui, il politico rozzo.

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