Politica

La faida interna La strategia di Rosy

RomaLa grande ansia referendaria che ha improvvisamente colpito il Pd, al di là del merito, è un segnale politico preciso.
Nel principale partito di opposizione è scattato il «tana libera tutti», ed è iniziata la corsa al riposizionamento collettivo. E la causa di questa repentina agitazione interna è l’affaire Penati. Non stupisce che un critico (sia pur soft) del Pd bersaniano come Walter Veltroni firmi il referendum pro-Mattarellum, né che un ostinato bipolarista della prima ora come Arturo Parisi sia capofila della battaglia. Ma se uno dopo l’altro i big più vicini al segretario si sganciano dalla sua linea sulla legge elettorale, da Prodi a Franceschini, dalla Bindi ai capi delle Regioni rosse, vuol dire che gli scricchiolii attorno al quartier generale si stanno facendo più allarmanti e che ognuno inizia a pensare al proprio futuro. D’altronde, come spiega un parlamentare vicino a Veltroni, «ora la linea del Pd sulla vicenda Penati si concentra tutta sul falso problema della rinuncia alla prescrizione. Ma con la vicenda Serravalle-Unipol, molto più recente, la prescrizione non c’entra, e il problema rischia di diventare tutto politico: c’era o no un partito nel partito, una corrente bersanian-dalemiana con le sue reti e i suoi sistemi di rapporti?». Se davvero l’inchiesta di Monza si allargasse in questa direzione, la poltrona del segretario vacillerebbe e il posto di candidato premier tornerebbe vacante. Di qui la corsa scattata nel partito, con possibili candidati alternativi. Tra quelli agevolati dal proprio ruolo istituzionale c’è in prima linea Rosy Bindi, che Bersani ha voluto alla presidenza del Pd (lei aveva mollato Franceschini per lui, schierandosi col cavallo vincente) e che è anche vice-presidente della Camera. Su Penati alza la sua antica bandiera giustizialista, senza infierire ma cavalcando lo scandalo. E sul referendum si schiera subito, in contrasto col segretario. Nonostante il passato Dc, che le assicura un certo appeal nel mondo cattolico, la Bindi è popolare a sinistra; piace a ex Ds e Cgil, non si è mai persa un girotondo o un popolo viola; è la beniamina dei manettari del Fatto che da tempo le stanno costruendo addosso la candidatura; Repubblica non potrebbe dirle di no dopo averla portata in palmo di mano e persino Vendola e Di Pietro non troverebbero grandi argomenti per contrastarla. E nel Pd c’è chi si dice certo che si arriverà a nuove primarie, con la sinistrorsa Bindi schierata contro il moderato Matteo Renzi.

Con buona pace di Bersani.

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