Falsi profeti

L a crisi finanziaria che ha preso le mosse nel 2007, dal momento che è stata addebitata (a torto o ragione, poco importa) al capitalismo e alla libertà d’impresa, ha messo in moto un gran numero di moralisti di diverso orientamento, tutti concordi nel denunciare mercato e globalizzazione. D’altra parte, da Jürgen Habermas a George Soros, termini come «crisi» e «capitalismo» sono indissolubilmente associati nelle riflessioni di vari autori. Alcuni di loro si sono pure spinti a preannunciare la fine stessa dell’economia basata su proprietà e scambio, riattualizzando tesi già classiche.
Quando Karl Marx introdusse la distinzione tra socialismo «utopista» e «scientifico», nel secondo - che era il suo - volle proprio intendere un’interpretazione della storia basata sul necessario susseguirsi di diverse fasi e che, dopo l'età del capitalismo, avrebbe dovuto condurre fatalmente alla società senza classi. Proprio per questa ragione molti politici e ideologi dei Paesi comunisti erano persuasi, nel secolo scorso, che l’Occidente borghese fosse una sopravvivenza dalle ore contate. A crollare, alla fine, fu però il muro di Berlino.
Dopo Marx, un’analoga convinzione che il mondo stia dirigendosi verso il collettivismo si ritrova in Capitalismo, socialismo e democrazia di Joseph Schumpeter (del 1942), che in verità apprezzava il mercato ed esaltò come pochi altri la capacità creativa degli imprenditori. Ma a dispetto di questo egli era persuaso che il sistema produttivo basato sulla competizione e la libertà d’iniziativa non avrebbe retto dinanzi ai propri nemici. La sua tesi di fondo era che il successo dell’economia liberale avrebbe favorito il diffondersi di idee avverse e la conseguente graduale soppressione delle istituzioni tradizionali.
Non furono solo il millenarismo dei socialisti o il pessimismo dei conservatori a considerare imminente la scomparsa del libero mercato. Durante il Ventennio mussoliniano Ugo Spirito vide nel fascismo il superamento del capitalismo e del collettivismo, assegnando il futuro al corporativismo di Stato.

Qualcosa di non troppo diverso si ebbe in Germania nei circoli filonazisti, dove non mancò chi, come Ferdinand Zimmermann, nel 1931 dedicò un intero libro a Das Ende des Kapitalismus.
Negli ultimi due secoli, il capitalismo è stato condannato a morte prematura dalle peggiori ideologie. Finora tutto ciò gli ha in qualche modo portato fortuna.

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