Fantasma chiede aiuto per dimostrare di essere vivo

La famiglia lo crede defunto e fa il funerale, ma lui torna. Il villaggio lo considera uno spettro e gli chiede: provaci che non sei morto

Massimo M. Veronese

Raju è tornato a casa la notte di capodanno, con il sorriso di chi manca da una vita. Certo aveva molto da farsi perdonare e troppe cose da spiegare, ma non si aspettava certo un’accoglienza così. Un vecchio amico per esempio ha risposto al suo saluto con gli occhi sbarrati dal terrore, il barista all’angolo manco è riuscito a rispondere perché l’urlo gli è rimasto conficcato in gola, nella bocca spalancata. Non parliamo poi della portinaia, quella pettegola. Appena l’ha visto è diventata un sudario. Ghiacciata. L’attimo dopo era lunga distesa, fulminata sul pavimento della cucina. Ma il peggio doveva ancora cominciare.
Katra è un villaggio dalle parti di Bhopal, nel Madya Pradesh, India centrale. Raju Raghuvanshi, più o meno cinquant’anni, non ci tornava da un anno. Colpa di una condanna che lo aveva spedito in carcere per alcune cose ancora poco chiare. Una prigione lontana. Così lontana che nessuno dei suoi familiari aveva mai trovato tempo e modo per andarlo a trovare, nemmeno per portargli le arance. Solo un parente alla lontana, un cugino in seconda, ci aveva provato ma al momento sbagliato: Raju era appena finito in ospedale per una malattia polmonare e qualcuno, chissà perché, lo aveva dato per spacciato. Così il cugino in seconda se n’era tornato al paese per comunicare alla moglie, la ferale notizia: Raju non c’era più e le autorità locali avevano disposto in fretta e furia la cremazione del suo corpo. Certo nessuno aveva assistito alla cerimonia ma vuoi mettere forse in dubbio la parola del cugino? Così come vuole la tradizione la famiglia di Raju, su autorizzazione del panchayat locale, il governo del villaggio, ha organizzato il rito funebre previsto dall'induismo: il fratello maggiore, pensa te, si è pure rasato i capelli come lutto pretende.
Il problema è che Raju nel frattempo è guarito. E scontata la pena se n’è tornato dai suoi, compreso dal caro cugino in seconda tanto premuroso, giusto la notte di capodanno per fare una sorpresa. Ed è lì che è cominciato il peggio. La moglie, forse perchè nasconde qualche scheletro nell’armadio che non è quello del marito, ha fatto finto neanche di conoscerlo, i figli pallidi pallidi son caduti, come si suol dire, a babbo morto, il fratello, tutto pelato, ha minacciato, badile in pugno, di rispedirlo dal dio Shiva ballerino, il paese appena lo vede materializzarsi lo rincorre a sassate gridando al fantasma. Hai voglia a urlare, guardatemi, sono io, sono vivo. L’han presa per una battuta di spirito... Poi sapete la burocrazia: la polizia a cui si è rivolto, barricata nella centrale, gli ha urlato di rivolgersi al panchayat e il panchayat, guardandolo per bene, ha sentenziato di non credere che lui sia vivo. Morale: pretendono una prova inconfutabile della sua esistenza in vita perché l’autocertificazione da sola non basta. Una soluzione ci sarebbe.

In prigione il certificato di sana e robusta costituzione glielo darebbero pure, ma vista l’eccezionalità del caso costerebbe un occhio. Raju ha risposto intanto speditemelo che poi si vedrà. Sapete com’è: a pagare e a morire c’è sempre tempo...

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