La farsa delle badanti assunte dai prestanome senza reddito

L’allarme della polizia: un numero sempre maggiore di stranieri entra in Italia grazie a contratti fittizi con falsi datori di lavoro, spesso parenti. Inutili i controlli a campione

Massimo Malpica

da Roma

Un esercito di domestici e camerieri preme alle frontiere nelle ultime settimane. Arrivano da ogni parte del mondo, infrangendo le storiche statistiche di «specializzazione» che vedevano, per esempio, arrivare le colf dalle Filippine o le badanti dai Paesi dell’Est. Ora la polizia di frontiera segnala ingressi in crescita dal Maghreb, dai Balcani, dalla Nigeria e da altre nazioni considerate potenzialmente «a rischio». Ed emerge una specie di scivolo nella corrente delle quote di immigrazione.
L’ESCAMOTAGE
Il sospetto lanciato da numerosi operatori degli uffici di polizia di frontiera, nemmeno troppo velato, è che in molti casi il «contratto di soggiorno» sia un mero escamotage per ottenere un accesso legale al nostro Paese. La chiave di tutto si cela nell’iter dei permessi di soggiorno per lavoro dipendente. Un sistema solo apparentemente lineare ed efficiente.
Il potenziale datore di lavoro, in Italia, può presentare una o più richieste nominative, nel rispetto del decreto flussi in vigore, accompagnando alla domanda la bozza del contratto che verrà stipulato. Deve garantire un reddito sufficiente a pagare il suo futuro dipendente e a rimborsargli le spese del viaggio di ritorno in caso di rimpatrio. A quel punto, ottenuto il nulla osta, l’immigrato assunto arriva in Italia, firma il «contratto di soggiorno» con il suo datore di lavoro di fronte agli impiegati dello sportello unico per l’immigrazione. E ottiene un permesso di soggiorno di due anni.
SISTEMA A MAGLIE LARGHE
Fin qui tutto bene. Ma come avvengono i controlli? In ogni provincia la questura si occupa di quelli sul lavoratore «convocato», accertando che non vi siano condizioni ostative al suo ingresso in Italia. Quanto alla «capienza reddituale» di chi lo assume (ultimamente sono in clamorosa crescita i richiedenti stranieri), la pratica finisce alla Direzione provinciale del lavoro della città interessata.
Le verifiche però sono a campione. E già così non è raro che l’Agenzia delle entrate - come appurato dal Giornale - accerti che il richiedente, italiano o straniero, non produce alcun reddito. Ergo, riesce difficile immaginare che possa pagare stipendi e contributi a un immigrato assunto come domestico o come badante. Il problema è che un filtro con maglie così larghe lascia passare di tutto.
CONTRATTI FITTIZI
E c’è di più. Perché il momento che dovrebbe garantire da abusi, cioè quello della firma del contratto, che avviene di fronte ai «testimoni» dello Sportello unico, è una vuota formalità. A portare all’Inps la copia del contratto, infatti, dovrebbe provvedere il datore di lavoro, entro cinque giorni. Non è prevista la trasmissione d’ufficio alle banche dati dell’istituto previdenziale, che pure sarebbe un elemento decisivo e facilissimo da realizzare. Ma non c’è, e così nulla impedisce le simulazioni. A quel punto, una volta ottenuto il permesso di soggiorno, il finto assunto e il finto imprenditore possono stracciare il contratto. E intanto l’immigrato è regolarizzato per due anni.
QUESTIONE DI VOCALI
Se funziona così, è evidente che siano molti gli stranieri che, già in Italia con regolare permesso di soggiorno, che approfittano delle carenze dei controlli e del sistema nel suo complesso per farsi raggiungere da parenti o amici. L’elenco dei «trucchi» scoperto all’Ufficio del Lavoro è esteso, e la fantasia è in costante crescita. Per cominciare, anche se il vincolo familiare è una condizione ostativa per la conclusione di un contratto di lavoro, è difficile accertare le parentele ed evitare che il «badante» del quale si chiede l’assunzione sia in realtà un fratello sotto mentite spoglie. Poi, approfittando delle traslitterazioni non univoche dei nomi «forestieri», molti richiedenti stranieri nella modulistica «sbagliano» di proposito a scrivere il proprio, o quello del potenziale lavoratore. Così nascondono l’omonimia, e rendono praticamente impossibili i controlli. Basta una lettera, una vocale in più o in meno. Non è raro, poi, che uno straniero già in regola chieda a qualcuno, per esempio alla famiglia presso la quale lavora, di fare da prestanome per sottoscrivere un contratto di soggiorno fittizio, presentandosi al suo posto agli sportelli o consegnando una delega.
Cresce anche il sospetto, da parte dei «controllori» della polizia, che qualche organizzazione abbia fiutato il business: sono stati segnalati centinaia di casi nei quali un singolo nominativo, pur non vantando redditi milionari, fa domanda per decine di flussi da Paesi extracomunitari.

Ovviamente in più province, due o tre per sportello, per moltiplicare le possibilità di successo e nascondendo l’evidente natura fittizia dei «contratti» presentati. Così se Roma, per esempio, gli nega il nulla osta, da Catanzaro, Rimini o Milano arriva il placet per le assunzioni. E le frontiere si aprono.

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