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Fassino scopre gli italiani morti nei gulag

Il segretario Ds annuncia un viaggio a San Pietroburgo per ricordare i connazionali vittime delle purghe di Stalin. L’ennesimo ripensamento tardivo. Su foibe e Resistenza gli strappi di Violante e D’Alema: «Sul comunismo ha ragione il Papa»

Fassino scopre gli italiani morti nei gulag

Milano - Fare i conti con la storia, dice Piero Fassino. È un conto che dura da anni quello dei diessini con la loro storia, con l’ombra del Pci in cui sono cresciuti tutti gli attuali leader della Quercia. Un tragitto faticoso, lacerante che parte dalla Bolognina dell’89, la svolta da cui nacque la prima figurazione politica del post-comunismo, e si allunga verso l’orizzonte incerto del partito democratico. Ed è parlando di questa nuova tappa nel percorso di affrancamento dall’eredità comunista che Fassino è tornato a fare quel conto, annunciando un ennesimo viaggio simbolico: «I conti con la storia vanno fatti sempre con coerenza - ha detto il segretario dei Ds ospite del forum di Repubblica.it -. Noi li abbiamo fatti e proprio per questo a fine giugno sarò a San Pietroburgo per rendere omaggio agli italiani vittime dei gulag staliniani». Furono migliaia gli italiani vittime del Terrore staliniano che finirono fucilati o internati nei Gulag. Sulla loro storia, anche dopo il ’56, calò il silenzio in Italia, complice il Pci. Ma se il viaggio di Fassino non avrà la violenza di uno strappo, sarà almeno una sosta di un percorso che lentamente e tardivamente cerca di arrivare al termine. E che ha visto in passato lo stesso Fassino regista del revisionismo interno al partito. Nel 2003 fu attaccato duramente dal Manifesto, lui e il vignettista Staino, per aver mosso contro un altro mito del passato, la Cuba di Castro. Anche allora, sostenendo alla Camera il voto dei Ds sulla mozione contro le «inammissibili» condanne agli oppositori del regime castrista, Fassino usò quell’espressione, «fare i conti». «Perché Cuba ha rappresentato per un certo periodo una speranza - spiegò Fassino in Aula -, è stata un punto di riferimento in un’America latina caratterizzata da colossali ingiustizie». Ma, concluse, «essa ha rappresentato una speranza che presto si è rivelata vana. Noi vogliamo che a Cuba ci sia democrazia e libertà».
Niente però al confronto di D’Alema che, da premier nel 1998, si convertì per davvero: «Sul comunismo aveva ragione il Papa, l’ideologia crea vuoto spirituale». E nemmeno di Walter Veltroni, che a Trieste nel febbraio 2005, primo leader della della sinistra in visita nei luoghi delle foibe e degli eccidi titini, si abbandonò ad un giudizio ancora impensabile per un ex deputato del Pci: «Il comunismo ha prodotto un immenso dolore», disse. «Il comunismo reale era odioso e nemico, i leader sovietici mi facevano pena» spiegò allora Veltroni, con qualche decennio di ritardo sulla storia.
Il 10 dello stesso mese, che da allora sarebbe diventato il «Giorno del ricordo», anche Fassino prese la gomma per cancellare capitoli interi di ortodossia comunista: «Le foibe - disse - sono una pagina dolorosa della storia italiana, troppo a lungo negata e colpevolmente rimossa». Anche una altro membro del Politburo diessino, Luciano Violante, ebbe a riconoscere che «il Pci ha gravi responsabilità» sulla tragedia dei profughi istriani. Ed era stato sempre Violante, dieci anni prima, a toccare un altro nervo scoperto squadernando per primo l’agiografia della Resistenza divisa, incrollabilmente, in buoni e cattivi. Quando da presidente della Camera disse che i «vinti di Salò andavano capiti», distinguendo i giovani arditi dai gerarchi, Gianfranco Fini si alzò dai banchi per andargli a stringere la mano. «È un grand’uomo» esplose Storace.
La memoria condivisa, la riappacificazione, il sangue dei vinti. Ancora Piero Fassino, ancora una svolta.

Quasi nascosto sull’Unità, nel 2003, Fassino prese le distanze dalle violenze partigiane, e anche lì tornò la stessa formula: «Dobbiamo fare i conti - scrisse - con le vicende tragiche dell’immediato dopoguerra, quando la vittoria agognata acceca la la ragione dei vincitori e i vinti sono più vinti e indifesi che mai».

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