E poi c'è chi dice che il 17 porta sfortuna
Angel Leopoldo Cabrera, 39 anni, gira il mondo da 17 anni ma non parla una parola di inglese, solo qualche termine «golfese». Così, nella conferenza stampa dopo la sua prima vittoria nel Masters e nel discorso alla cerimonia di premiazione ha avuto bisogno del traduttore che, oltre allo spagnolo, ha dovuto interpretare le parole che l'emozione gli ha frenato in gola. Dopo una tensione lunga quattro giornate e al termine di due estenuanti buche di play-off, il nuovo Masters Champion aveva il vero e proprio strozzone e riusciva solo a dire che non era in grado di spiegare l'emozione che provava.
In effetti, pensandoci bene, la strada percorsa da Cordoba, cittadina di medie dimensioni dell'Argentina centrale, è stata molta, soprattutto se si pensa alle sue umili origini. Sono state quelle che gli hanno permesso, lui che non aveva alcun titolo di studio, di scoprire il golf. Era facendo il caddie che riusciva a far quadrare il misero bilancio di una famiglia composta dalla sua compagna già madre di due bambini e di 11 anni più grande di lui con la quale conviveva dall'età di 17 anni e che oggi è sua moglie. E aveva 17 anni quando iniziò a giochicchiare e, sin dall'inizio, dimostrò di essere molto portato. Al Cordoba Golf Club, dove lavorava e poteva giocare solo il lunedì, giocava anche un certo Eduardo Romero, figlio del professionista locale e già affermato pro, che immediatamente capì di avere davanti un talento naturale. Fu così che lo aiutò con consigli, ma non solo. Dopo che Angel passò al professionismo a 20 anni, lo sovvenzionò per i quattro anni nei quali tentò di prendere la Carta.
In Italia Cabrera si è fatto conoscere e amare per le molte partecipazioni all'Open d'Italia, dove ha mediamente avuto un discreto successo. Giocò anche a Is Molas nel 2001 ma non benissimo perché scoprì il porceddu e il limoncello che per una settimana sono stati il suo pasto serale. Non c'è da stupirsi se è finito solo 50°.
Cabrera è così: serio e sempre tranquillo, ama la buona tavola, la famiglia e il golf. È diventato famoso per il buffo soprannome di «El Pato», il Papero, per la sua andatura ma anche per la smisurata potenza che si oppone alla straordinaria sensibilità nel gioco corto. Fa approcci splendidi, drive che coprono distanze inusuali, ferri al green di precisione millimetrica senza pensarci più di tanto, Cabrera guarda la buca, studia la linea, si mette sulla palla e tira. Se questo non è talento e istinto, cos'è?
Cabrera raggiunse una discreta notorietà e un conto in banca che gli permise di vivere tranquillamente finché, in quella che fu più una lunga crisi nervosa per ogni giocatore che una gara di golf, non vinse l'US Open a Oakmont, nel 2007. Il tutto fumando una sigaretta dietro l'altra. «Gli altri vanno dallo psicologo. Io fumo», spiegò tranquillamente all'interprete. La stessa tranquillità gli permise di realizzare il colpo che gli diede la vittoria: un ferro 9 da 148 metri che finisce a 50 centimetri dalla buca. E' il birdie della vittoria e della gloria. È il 17 giugno!
Ora ha aggiunto il secondo Major che, guarda caso, è il suo 17° successo dopo quattro tornei nell'European Tour e undici tornei in patria.
L'Argentina da domenica sera è in festa, ma due uomini sono felicissimi: i suoi connazionali Eduardo Romero e Roberto de Vicenzo, il mitico campione che ha vinto più di cento gare e l'Open Championship nel 1967. Proprio lui perse il Masters per non aver controllato lo score. Lui che l'aveva preso sotto la sua ala. Il «poulain» l'ha vendicato! A volte ritornano Come il 17.
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