Dalla Fed un maxi-taglio contro la crisi

La banca centrale statunitense non perde tempo: ridotto dello 0,75% il costo del denaro senza aspettare la riunione di fine mese. Era dal settembre 2001 che la politica monetaria non veniva modificata al di fuori del vertice Fomc. I "future" ipotizzano nuovi interventi

Dalla Fed un maxi-taglio contro la crisi

Milano - Un vertice d’emergenza in piena notte, poi la decisione, quindi l’annuncio. Alle 14,15 di ieri ora italiana, la Reuters batte tutti sul tempo e manda in rete il primo flash: annuncia che la Federal Reserve ha tagliato dello 0,75% sia il tasso sui Fed Fund, portati al 3,50%, sia lo sconto, sceso al 4%. Si compie così il sorpasso di Eurolandia, i cui tassi sono ora 50 punti base sopra quelli Usa. Non accadeva dal 2004.

Un intervento drastico e a sorpresa, quello della Fed. Effettuato senza aspettare la riunione ufficiale in agenda per fine mese, dà l’esatta misura della gravità della situazione. Solo in un’altra circostanza, ovvero a pochi giorni di distanza dagli attacchi terroristici del settembre 2001, la banca centrale era scesa in campo con la stessa urgenza, venendo meno alla regola aurea secondo la quale le manovre di politica monetaria vengono stabilite negli appuntamenti canonici del Fomc, il braccio operativo in materia di tassi. E bisogna risalire all’ottobre del 1984 per ritrovare una riduzione del costo del denaro di tale entità in un solo colpo.

Il presidente dell’istituto di Washington, Ben Bernanke, si è mosso prima dell’apertura di Wall Street, nel tentativo di rassicurare i mercati, sempre più incartati dai timori recessivi e nel mezzo di una vera e propria tempesta finanziaria. Bernanke ha dovuto incassare l’opposizione di uno dei componenti del board della Fed, William Poole, ma si è preso il plauso del segretario al Tesoro, Hank Paulson («È una mossa che mira a ricostruire la fiducia»). In silenzio la Casa Bianca, mentre filtravano le prime indiscrezioni di un possibile ampliamento del piano di sgravi fiscali da 150 miliardi di dollari annunciato la scorsa settimana da George W. Bush.

Il successore di Greenspan ha motivato così la manovra: «Sebbene gli ostacoli del mercato del credito a breve si siano lievemente ridotti - recita il comunicato della Fed - le condizioni dei mercati finanziari hanno continuano a peggiorare e per alcune aziende e famiglie è divenuto più difficile accedere a finanziamenti. Inoltre, le nuove informazioni in arrivo dal fronte macroeconomico indicano un peggioramento della contrazione del mercato immobiliare e un indebolimento del mercato occupazionale. Rimangono rischi di un ulteriore peggioramento dell'economia». L’istituto ritiene inoltre di aver margini di manovra sul fronte della politica monetaria, dal momento che «l’inflazione si attenuerà nei prossimi trimestri», anche se sarà necessario continuare ad esercitare grande vigilanza.

Ma il lavoro di Bernanke non sembra ancora essere giunto al termine. I future sui Fed Fund hanno continuato a indicare per l’intera seduta la possibilità di un ulteriore taglio di mezzo punto dei tassi già in occasione del summit della prossima settimana. Nel comunicato diffuso ieri, del resto, la banca centrale ha spiegato di voler agire «con prontezza secondo le necessità per far fronte ai rischi». Ma, a parte le iniziative della Fed (peraltro parzialmente imitata dalla Banca del Canada, che ha ridotto dello 0,25% il costo del denaro), i mercati sembrano attribuire qualche chance a un eventuale intervento coordinato delle principali banche centrali, sulla falsariga di quanto avvenne nel 2001 dopo l’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono. La sensazione, tuttavia, è che in questo momento l’arma del coordinamento potrebbe rivelarsi spuntata e insufficiente a evitare una recessione che la Casa Bianca continua a non prevedere.

La Bce ha opposto ieri il più classico dei «no comment» alla mossa della Fed, ma alcuni analisti sono convinti che il presidente Jean-Claude Trichet non potrà fare a meno di ignorare quanto deciso negli Usa e finirà per tagliare i tassi di mezzo punto entro la fine dell’anno. Il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, ha però subito gelato queste attese: «Non mi aspetto che la Bce faccia un passo simile a quello della Fed e cioè aggiusti i tassi verso il basso.

La missione della Bce è quella di assicurare la stabilità dei prezzi». Un concetto ribadito con forza da uno dei componenti il direttivo dell’Eurotower, Juergen Starck: «La nostra principale preoccupazione è il tasso d’inflazione al 3,1 per cento».

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