Roma La buccia di banana è sempre lì. E nessuno si illude che venga cestinata prima che la legislatura volga al suo termine naturale (2013). Sempre che ci si arrivi. Ma da qui a dire che la maggioranza, oggi, è a un passo dal baratro, ce ne passa. Per due motivi. Il primo: il rischio che la crisi greca possa colpire pure l’Italia, a causa di un effetto domino non pronosticabile - con la complicità magari di un’offensiva speculativa ordita tra una Borsa e l’altra - obbliga tutti a scongiurare il patatrac. Secondo: la paura pidiellina che uno spicchio di magistratura voglia andare avanti per colpire unilateralmente il centrodestra (vedi casi Bertolaso e Scajola, ma non solo), in modo da agevolare il game over, raffredda un po’ i bollenti spiriti. Detto questo, le falle, sul fronte interno e nel rapporto con l’alleato leghista, ci sono e potrebbero divenire voragini in qualsiasi momento.
I punti di possibile rottura sono sempre gli stessi: federalismo, crisi economica, giustizia, riforme istituzionali, cittadinanza e - un po’ meno - temi etici. Sul primo versante, assodato che l’intesa sul principio base, cioè sul contenitore, è fuor di dubbio, è sul contenuto che si può aprire la diatriba. E se da una parte il Carroccio spinge come un treno per arrivare quanto prima all’approvazione dei decreti attuativi, per chiudere il cerchio e sbandierare al popolo padano lo storico traguardo, dall’altra si registrano i recenti paletti di Gianfranco Fini: verificare quanto costa l’operazione e garantire la stella polare dell’interesse nazionale, prima di dire sì a prescindere. Come dire: nessuno tocchi il Mezzogiorno, su cui il presidente della Camera inizia a guardare con sempre maggiore interesse politico. Anche per questo, allargando il discorso alla manovra correttiva annunciata dal ministro dell’Economia, non bisogna farsi incantare dagli elogi finiani nei confronti di Giulio Tremonti, che ha dimostrato a tutti di aver tenuto bene i conti in ordine, ma che non ha ancora spiegato la direzione dei futuri tagli. Punteranno magari sugli sprechi al Sud? In quel caso, saranno scintille.
Baruffe non da poco si avranno sul fronte giustizia, come già spesso avvenuto. Non tanto sulla necessità di riformare il settore, per ridurre i tempi dei processi, quanto sulla legittimità o meno di criticare anche con durezza l’operato dei giudici, sul ruolo dei pm («mai sotto l’esecutivo», mette le mani avanti l’inquilino di Montecitorio) e sulla stretta da dare all’uso delle intercettazioni. Un provvedimento, quest’ultimo, al vaglio della commissione Giustizia del Senato, che potrebbe acuire vecchie polemiche sulle limitazioni e sulle sanzioni da attuare in caso di indebita pubblicazione. Clima teso che si potrebbe respirare sull’esame del disegno di legge anti-corruzione, con i finiani pronti a far sentire la propria voce. Sullo sfondo rimane il Lodo Alfano costituzionalizzato, su cui nessuno sembra sbilanciarsi e che potrebbe avere tempi molto lunghi.
Stessa previsione per le cosiddette riforme istituzionali, su cui si dibatte tanto ma che allo stato appaiono come una sorta di miraggio, per via di una larga condivisione parlamentare che potrebbe non arrivare mai. In ogni caso, ci sarà molto da questionare sull’opzione presidenzialismo, anche se si dovesse tradurre, un po’ al ribasso, con il rafforzamento dei poteri del premier. In materia non c’è sul tavolo del Pdl una proposta condivisa e non ha certo aiutato, stando alla reazione di Fini, l’accelerazione della Lega sulla cosiddetta bozza Calderoli. Senza contare l’ulteriore avviso ai naviganti impartito dall’ex leader di An: non si può immaginare di arrivare a una riforma del genere, qualunque sia il modello prescelto (francese o no, poco importa) senza rivedere la legge elettorale. Tassello non di poco conto, ritornare al collegio uninominale o introdurre il doppio turno elettorale. Si vedrà.
Di certo è già alla luce del sole lo scontro tra finiani e leghisti sulla cittadinanza breve. Dopo l’annuncio della terza carica dello Stato («a giugno il testo sarà in Aula, anche senza intesa, come stabilito dalla Capigruppo»), è già in atto un muro contro muro che non promette nulla di buono.
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