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Il federalismo è legge Si governa, e meglio senza il "tappo" di Fini

Approvata un’altra riforma: senza Fini si governa, e meglio. Sconfitta la politica dei veleni e delle bugie. Non hai capito cos'è il fisco municipale? Te lo spieghiamo noi

Il federalismo è legge 
Si governa, e meglio 
senza il "tappo" di Fini

La Camera ha approvato ieri la legge sul federali­smo comunale. È una legge destinata a cam­biare radicalmente i rapporti tra i cittadini, il fisco e lo Stato. Ed è la seconda grande rifor­ma, la prima fu quella dell'uni­­versità, che governo e maggio­ranza varano, nel giro di soli due mesi, da quando nel Pdl è saltato il tappo Fini. Sessanta giorni infernali, durante i qua­li Berlusconi e la sua squadra sono stati oggetto di furibon­di attacchi politici e giudizia­ri, dati per morti praticamen­te ogni ora. Invece sono vivi più che mai, e il voto storico di ieri lo dimostra meglio di tan­te parole.

La maggioranza par­lamentare c'è ed è solida, l'opi­nione pubblica, stando ai son­daggi, continua a sostenerla alla faccia delle migliaia di in­tercettazioni della mitomane Ruby e delle sue compari che invadono le pagine dei giorna­li­ostili al premier e i program­mi della televisione di Stato. Qualcuno sostiene che Ber­lusc­oni ha commesso tanti er­rori ma che vale la pena di te­nerlo perché è il minore dei mali. Non condivido e non mi unisco al coro di chi vuole in­segnare a Maradona a gioca­re a pallone. Berlusconi è Ber­lusconi, inscindibile nel bene e nel male come tutti i talenti che appaiono sulla scena e scompaginano il quieto vive­re dei mediocri.

La sua più grande trasgressione è stata quella di scendere in politica e nel giro di poche settimane rimandare in panchina una si­nistra che dopo cinquant'an­n­i di duro allenamento si pre­parava a vincere facile contro avversari decimati e sfiancati da Tangentopoli. Non gliela hanno perdonata e ancora og­gi ce­rcano in ogni modo di far­gli pagare quella terribile bef­fa. Per raggiungere lo scopo, tutto è lecito. Dalla vita priva­ta alle alleanze, dalle calamità naturali alla politica estera, ogni ambito è usato per alzare polveroni, accecare, paraliz­zare. Per poi poter urlare: qui non si fa nulla, il Paese è fer­mo, eccetera eccetera. La veri­tà è il contrario. Qualche esempio.

La sceneggiata ro­mana concessa al dittatore Gheddafi (e rinfacciata a Ber­lusconi)? L'abbiamo dovuta ingoiare per chiedere scusa dei libici torturati e massacra­ti durante la nostra imbaraz­zante parentesi coloniale, per sbloccare gli investimenti del­le nostre imprese, per garan­tirci il petrolio necessario a scaldare le nostre case e a far andare le nostre vetture, per bloccare l'immigrazione sel­vaggia. Il silenzio del governo di fronte ai primi fuochi di ri­bellione in Libia? È servito a portare a casa senza intoppi tutti i nostri connazionali. Il debito pubblico che non scen­de abbastanza? Certo, se il go­verno non avesse stanziato una montagna di soldi per cas­­saintegrare, e quindi salvare, milioni di lavoratori rimasti disoccupati, forse i conti tor­nerebbero meglio. Lo strap­po di Fini? Se si fossero asse­condati i progetti occulti del presidente della Camera, og­gi, come dimostra il voto di po­che ore fa, non avremmo il fe­deralismo, una università più efficiente e probabilmente neppure il governo.

Come ha sostenuto su que­ste colonne Giuliano Ferrara, l'unico errore che il centrode­stra ha compiuto è stato quel­lo di non ripristinare l'immu­nità parlamentare prevista dai padri costituenti e sciagu­ratamente abolita sull'onda di Tangentopoli.

Il risultato è stato quello di lasciare campo libero allo strapotere della ma­gistratura che ha fatto e farà (nei prossimi giorni è in arri­vo un nuovo tormentone) il bello e cattivo tempo. La rispo­sta ora non può essere il pate­racchio di una leggina che suoni ad personam come av­venne in passato. Ci vuole il coraggio di affrontare la que­stione di petto.

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