«Il federalismo è la nostra priorità Bossi si illude sul dialogo col Pd»

RomaMaurizio Sacconi, ministro del Welfare ed esponente del Pdl, le riforme, l’alternativa presidenzialismo-federalismo, stanno mettendo nei guai la maggioranza?
«Non è un problema serio. Anzi, non credo che ci sia nessun problema: l’importante in questi casi è solo definire l’agenda anche perché abbiamo sempre riconosciuto la priorità al federalismo fiscale».
Così lei risponde al partito di Umberto Bossi, ma solo sui tempi. Però c’è anche un problema di merito, visto che la Lega Nord il presidenzialismo sembra non volerlo.
«Io credo che la Lega voglia soprattutto garanzie sul federalismo fiscale. E noi le vogliamo quanto loro. E per questo non abbiamo nessuna difficoltà a dare alla Lega tutte le rassicurazioni che vuole».
E quindi la priorità al federalismo?
«È già calendarizzato e noi siamo per rispettare i tempi che avevamo previsto e cioè la conclusione in primavera. Però non credo ci si debba fare delle illusioni sulla disponibilità delle opposizioni».
Di aperture, almeno alla Lega, ne hanno fatte. Sono strumentali?
«Vedo solo tatticismi strumentali, mai una reale assunzione di responsabilità quando si entra nel vivo».
Quindi le riforme le farete da soli?
«Il federalismo si deve fare ascoltando le opposizioni e cercando delle mediazioni ragionevoli, ma senza troppe illusioni. Non credo che questa opposizione sia in grado di concorrere alle riforme».
Torniamo al centrodestra. Possibile trovare una sintesi tra le posizioni del Carroccio e quelle del Pdl?
«Si ritrova riconoscendo la necessità di una combinazione fra un compiuto federalismo e una sintesi nazionale più autorevole».
In cosa consiste?
«Un assetto istituzionale che rafforzi la sintesi dell’unità nazionale e la capacità di governo del sistema Paese. È un’esigenza che viene anche dagli scenari internazionali».
In che senso?
«C’è un ritorno in pompa magna degli Stati nazionali, i cui leader negoziano le regole, concordano politiche e iniziano persino a concertare modelli sociali. Poi i più grandi protagonisti della dimensione globale sono sempre più caratterizzati da assetti istituzionali che consentono decisioni rapide. E noi non possiamo pensare di competere senza rafforzare la capacità decisionale della nostra democrazia. Anche perché in futuro saranno determinanti le intese tra Stati. E gli Stati sono tutti uguali tra loro, ma alcuni sono, per così dire, più uguali degli altri».
Chi è destinato a contare di più?
«Quelli che sono resi autorevoli dai loro assetti istituzionali. Penso alla Francia di Sarkozy, per restare alle democrazie europee, che si siede ai tavoli internazionali con la credibilità di chi ha davanti un intero settennato e gode di una significativa contrazione di potere, frutto di un libero dato democratico».
Quindi sul presidenzialismo non ci dovrebbero essere dubbi...
«Non entro nel merito, ma credo si debba riconoscere che esiste il problema. E bisogna riconoscere anche che la Lega ha già ottenuto una risposta da molti di noi, con la rassicurazione che il federalismo rimane al primo punto dell’ordine del giorno».
Lei viene dal Partito socialista di Bettino Craxi che fu tra i primi a proporre il presidenzialismo...
«Craxi ebbe questa felice intuizione negli anni Ottanta. Capì che in futuro la competitività degli Stati sarebbe dipesa dalla presenza di democrazie fortemente governanti».
E non se ne fece nulla...
«Per colpa del cattocomunismo, dell’alleanza tra comunisti e la debole sinistra cattolica. Un blocco che si ripropone oggi perché il Partito democratico è figlio di quella impostazione conservatrice e ottusa».
Se c’è ancora un blocco conservatore, potreste non riuscire nemmeno questa volta...
«Dipende da noi. Oggi gli italiani hanno dato una grande delega a questa maggioranza che ha quindi la possibilità e il dovere di dare risposte al Nord dinamico, ma anche alla società del Sud, che avverte la necessità di essere agganciata ad una locomotiva effettivamente trainante e, allo stesso tempo, sentono il bisogno di classi dirigenti che sappiano usare bene il denaro pubblico».


Lei pensa che gli italiani siano interessati alle riforme?
«Interessano i risultati che consentano di poter vivere e lavorare; un Paese ben amministrato e autorevole. Sta alla politica dare queste soluzioni. Che ci sia questa richiesta è certo, tocca a noi recepirla».

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