Le fiamme del «terzo forno» bruciano Casini e l’Udc

RomaIn periferia scalpitano per fare correre il partito con probabili vincenti. Ad esempio in Umbria c’è chi vede il partito di Pier Ferdinando Casini rompere la regola del «da soli nelle regioni rosse», a favore di un’alleanza con la sinistra. Nel quartier generale qualcuno storce la bocca perché, alla fine dei conti, la scelta di decidere regione per regione le alleanze per le elezioni regionali può fallire. L’Udc rischia di non portare a casa niente. Svanita l’immagine di partito equidistante dai due poli e disinteressato alle poltrone. A vuoto i tentativi di contare nelle decisioni dei due schieramenti maggiori. Centrodestra e centrosinistra sembrano sempre di più volere decidere da soli i candidati. Insomma, il day after della Puglia è amaro per l’Udc. La regione sud-orientale poteva diventare un laboratorio, non tanto di un progetto riformista con Massimo D’Alema, quanto di un’alleanza alternativa alle candidature meno gradite, quale è quella di Nichi Vendola. Ma l’Udc ha scelto la strada del terzo forno. «Adriana Poli Bortone non verrà mai eletta. È evidente che si tratta di un tentativo di favorire la sinistra e quindi Vendola. Ma fallirà», è stata l’analisi del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. Pier Ferdinando Casini è tornato sulla Puglia solo per difendere l’ala perdente del Partito democratico, quella del segretario Pier Luigi Bersani e di Massimo D’Alema («Una battaglia vera per le proprie idee, anche se perde, forse potrà vincere alla lunga») e per attaccare lo strumento delle primarie («De Gasperi non sarebbe mai stato eletto. È un meccanismo populistico che non ha niente a che fare con la selezione delle persone migliori»).
L’Udc non ha avuto dubbi in Piemonte, dove però la candidata Pd appoggiata dai centristi, Mercedes Bresso, per quanto popolare, è a rischio proprio per la debolezza della coalizione. In Veneto la linea «no Lega» dell’Unione non ha prodotto nulla. Tanto che la linea dello scudo crociato ieri è stata criticata anche dal Presidente uscente Giancarlo Galan, che fino a poche settimane fa era indicato da Casini come un possibile candidato. «L’Udc è una spina nel fianco? Magari di se stessa - ha sostenuto Galan - perché frutta qualche rendita, qualche titolo di giornale, ma non ha più una collocazione politica». Non risulta determinante l’appoggio centrista a Renata Polverini nel Lazio. E conta poco anche l’addio dell’Udc a Formigoni in Lombardia.
Sempre più difficile trovare un filo conduttore. E, alla fine, la mappa delle alleanze Udc sarà di difficile lettura. Se n’è accorto un ex del partito come il sottosegretario alla Famiglia Carlo Giovanardi. La linea dell’Udc, sostiene, è solo quella di attaccare Berlusconi e il Pdl. «Infatti - spiega - non esita ad allearsi con candidati presidenti provenienti dall’area dell’ex Pci o dell’ex Msi ma rifiuta l’appoggio non soltanto ai candidati della Lega in Lombardia e Veneto, ma anche in Liguria, Emilia a candidati vicini da sempre all’area di centro e al Partito Popolare Europeo».
Sa un po’ di vendetta post Puglia anche la linea scelta in Toscana, dove Casini ha proposto al Pdl di convergere sul nome che l’Udc ha già scelto. «È un candidato aperto: offriamo la candidatura di Francesco Bosi anche al Pdl, e speriamo che ci possa essere un loro impegno per realizzare un’alternativa».
La partita giocata a Bari è un esempio da non seguire. Tanto che il segretario regionale delle Marche Antonio Pettinari ieri si è premurato di dire che «la Puglia è abbastanza lontana dalle Marche, non è neppure una regione confinante». Lì l’Udc si alleerà con la sinistra.
A complicare i giochi, ieri, anche la notizia che la giunta uscente di Nichi Vendola potrebbe già avere al suo interno un esponente dell’Udc.

Si tratta dell’assessore regionale alle Risorse Agricole, Dario Stefano, ex Margherita, ora Pd e indicato da alcuni mesi in transito nell’Udc. Nominato nel luglio scorso, per un rimpasto per sanitopoli. Lui non smentisce né conferma e aspetta che «le biglie si fermino».

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