Roma «Finché ho i numeri continuerò a governare». Silvio Berlusconi tira un sospiro di sollievo quando alla fine della prima chiama sulla fiducia al governo i voti già «spuntati» sono 315, sufficienti quindi a rendere la votazione valida nonostante l’Aventino delle opposizioni. Il più è fatto, tanto che il Cavaliere esce dalla sala di Montecitorio riservata al governo e si dice «sicuro che anche questo agguato della sinistra non avrà esito». Alla fine i voti saranno 316, la maggioranza assoluta a cui puntava il premier nonostante i timori della mattina. Il governo, insomma, tiene. E Berlusconi può salire al Quirinale per ribadire a Giorgio Napolitano quello che tante volte ha detto in questi giorni: «I numeri ci sono, vado avanti senza problemi».
Alla soddisfazione per lo scampato pericolo, però, non può non aggiungersi il timore per i prossimi passaggi parlamentari. Tanto che appena iniziato il Consiglio dei ministri il premier non esita a dire ai suoi che «d’ora in poi» in Parlamento «bisogna essere più presenti e rigorosi».
Con la consapevolezza, però, che il voto di ieri ha comunque registrato - rispetto all’ultima fiducia - la fuoriuscita dalla maggioranza di Luciano Sardelli, della «montezemoliana» e «dellavalliana» Giustina Destro, di Fabio Gava e di Santo Versace. Con il fallito tentativo di riagganciare l’ex Fli Antonio Buonfiglio. Alla Camera, insomma, ogni voto sarà a rischio perché è chiaro che non è facile radunare tutte le volte ministri e sottosegretari. Senza considerare che la promozione a viceministri di Catia Polidori e Aurelio Misiti e la nomina a sottosegretario di Guido Viceconte e Giuseppe Galati) pare abbia ulteriormente agitato le acque nel Pdl.
Berlusconi, però, è soddisfatto per un risultato che, confida nelle sue conversazioni private, «allontana il governo tecnico» visto che la finestra temporale per un esecutivo ponte si va via via riducendo. Deve essere chiaro - è il senso del suo ragionamento - che dopo la sfiducia al governo ci sono solo le urne.
E più si avvicina dicembre più diventa probabile che un eventuale incidente parlamentare o un voto di sfiducia possa significare le elezioni nella primavera del 2012. Un risultato che registra sì un’erosione di voti ma che comunque lascia il Cavaliere con la maggioranza assoluta. Nonostante, fa presente ai suoi il premier, «le fortissime pressioni di queste ore» tra cui anche quelle di Luca Cordero di Montezemolo. «Mi dicono che ha chiamato decine di deputati», confida in privato.
Il nodo restano i prossimi passaggi. Non solo parlamentari ma anche politici. Con la legge di stabilità (su cui s’è trovata un’intesa), la nomina del governatore di Bankitalia e il decreto sviluppo destinato nei prossimi giorni a far registrare l’ennesimo braccio di ferro fra Giulio Tremonti e il resto del governo (ieri il Consiglio dei ministri è stato preceduto da un durissimo faccia a faccia tra il titolare dell’Economia e quello dello Sviluppo Paolo Romani).
E con il referendum sulla legge elettorale se la Corte Costituzionale lo dovesse dichiarare ammissibile. Proprio su questo fronte pare che negli ultimi giorni il Cavaliere abbia iniziato a fare una serie di considerazioni. Perché, è il senso delle riflessioni fatte a Palazzo Grazioli, il quesito sulla legge elettorale potrebbe anche essere una strada da seguire. Intanto perché la questione è molto sentita dagli italiani, soprattutto la richiesta di mettere fine alla «nomina» dei parlamentari.
Eppoi perché un ritorno al Mattarellum avrebbe due conseguenze. La prima sulla Lega che, secondo molti, sarebbe tentata - spinta soprattutto dalla cosiddetta componente maroniana - di correre da sola alle prossime elezioni.
E con i collegi uninominali sarebbe decisamente più complicato. La seconda sull’Udc che con il Mattarellum sarebbe costretto a schierarsi da una parte o dall’altra. E che a quel punto tratterebbe un eventuale rientro nel centrodestra ma non da una posizione di forza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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