«Il fieno biologico? Arriva con la muffa»

È il camminare che lo frega. Che quando mette un passo davanti all'altro per il circuito-Messa, don Sandro Lagomarsini parla. E quanto parla. Che la storia del prete che si scoppia 25 chilometri a giorno santificato, pedibus calcantibus, accidenti se gli fa ben da volano. Tu abbocchi, lo segui nelle sue peregrinazioni domenicali e lui parla. Da buon esegeta tira dentro qualche fondamento evangelico, ma quel «biologico» lì, che tutti si riempiono la bocca, che ha lanciato Varese Ligure nell'olimpo delle certificazioni ambientali, è la sua spina nel fianco. Ti dice di filtrare, sennò ci rivediamo tutti in tribunale e intanto più che grani del rosario snocciola «una deriva biologica che non c'entra niente con la nostra valle». Ogni tanto tira il fiato, quasi non bastasse a dire tutto: «Accettano questa realtà contadina solo se ha addosso un vestitino più gradevole. Nonostante i finanziamenti erogati al settore rurale,le aziende convenzionali sono passate da 260 del 2004 a 250 del 2005, mentre quelle biologiche da 108 sono scese a 91. Vuol dire che una volta passati i cinque anni in cui si è obbligati a quel regime, chi ha potuto è scappato alla svelta. E sono in 17. E sono tanti». Don Sandro attacca il biologico che ha proiettato Varese in Europa. Attacca i finanziamenti a pioggia per un «concetto insensato. Non esiste nulla in natura che non sia biologico, il resto sono solo stupidaggini. Però si impone alla gente. Mangiamo cose biologiche e nobilitiamo la campagna, come se le vacche biologiche producessero uno sterco spirituale». Duro e ironico, questo prete da barricate. Che va raccontando del flop biologico, del «vestito che la città ha messo alla campagna per renderla politicamente corretta, dei giovani che vanno via, del fieno biologico che per le procedure richieste dalle certificazioni ambientali arriva dall'Emilia con la muffa. È una cosa privata controllata da privati. Riconoscono un contributo di 300 euro ad ettaro all'imprenditore bio, ma è poco per la vita che si fa qui. Non puoi metterti in concorrenza con la pianura e le multinazionali». Nel '97 la svolta biologica della valle per il fiuto dell'allora sindaco Maurizio Caranza. Che ti ristruttura il centro storico di Varese e lo abbina ad una strategia agricola innovativa. Che sa di sano in tanta bellezza. Poi è tutto un'ascesa. Varese fa il giro del mondo e colleziona premi su premi. È il primo comune in Europa ad ottenere nel '90 le certificazioni ambientali ISO 14001 ed Emas. E il flop di cui parla don Sandro? «Macché - ribatte Alessio Gotelli, assessore all'agricoltura della Comunità Montana Alta Val di Vara - Manca il dato di riferimento. Siamo in grado di dire quante di queste persone presterebbero ancora la loro fondamentale opera senza gli sbocchi commerciali forniti dal biologico? È vero, c'è disaffezione verso la campagna, ma il biologico ha contribuito a tenere la gente in loco. Abbiamo aziende con centinaia di ettari e capi di bestiame». Ti dice che qualcuno ha chiuso i battenti per superati limiti d'età. I giovani si sono avvicinati, ma non ancora ad un punto tale da consentire il ricambio generazionale. Gli chiedi delle certificazioni che riguardano le procedure e del fieno che arriva da fuori con quel fior fiore di pascoli: «Sono pochissime le aziende costrette a comprare fieno. Grazie all'acquisto di macchinari mirati sono riusciti a fare la fienagione nella quasi totalità dei pascoli. Tutta la polemica è strumentale. E se glielo dico io che sono anche consigliere di minoranza e le battaglie sulle cose serie la faccio davvero…». Poi tocca al sindaco Michela Marcone. Che a replicare a questo pastore d'anime e di terra non ne ha più voglia. Rompe il ghiaccio con un paio di battute, e stringe: «Il mercato ha bisogno di certe categorie. È vero che i prodotti sono biologici, ma dobbiamo metterci un bollino perché fra gli altri si riconoscano. Perché abbiano visibilità. Gli agricoltori grazie a questa strategia di marketing riescono a sopravvivere. E la scelta economica garantisce il presidio sul territorio. L'azienda di Cento Croci ha cento capi di bestiame biologico.

Le due cooperative del latte e della carne hanno un bilancio in crescita e danno lavoro a 25 persone. L'azienda che produce yogurt occupa 6 addetti. Prima fare l'agricoltore era un secondo lavoro, adesso si traduce in reddito». Pulpiti diversi. Logiche diverse.

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