Figli contesi: prosciolta la mamma

Per Oleg Fedchenko è una buona notizia: perché quasi certamente verrà prosciolto e scarcerato, finirà per un tempo indefinito al manicomio giudiziario, tra due o tre anni verrà valutato nuovamente: e se avrà fatto progressi lo manderanno in comunità. Nel contempo, la perizia consegnata nei giorni scorsi al giudice preliminare Cristina Di Censo suona come una sconfessione dei medici che per anni hanno avuto in cura Oleg, e non si sono accorti di quanto fosse pericoloso: fino a quella terribile mattina del 6 agosto dell’anno scorso, quando il pugile ucraino lasciò il suo appartamento di viale Abruzzi, scese in strada e massacrò di botte senza motivo la prima donna che incontrò sui suoi passi.
La sorte volle che toccasse ad una minuta, operosa donna di 41 anni: si chiamava Emilou Aresu, era venuta a Milano dalle Filippine per lavorare come domestica, aveva costruito un suo piccolo benessere, allevato due bravi figli. Il gigantesco Fedchenko iniziò a colpirla senza nemmeno darle il tempo di capire cosa stava accadendo. Quando otto poliziotti lo riuscirono finalmente a fermare a colpi di manganello, la signora Aresu era in condizioni pietose. Spirò al Fatebenefratelli tre ore più tardi. In quel momento, dice ora la perizia, Fedchenko era incapace di intendere e di volere, quindi non può essere condannato.
Del delirio che aveva reso possibile la morte di Emilou si iniziarono a ricomporre i tasselli fin da subito, quando la madre dell’assassino raccontò agli agenti di un percorso fatto di ricoveri, psichiatri, psicofarmaci. L’ultimo incontro con gli «strizzacervelli» Oleg l’aveva avuto appena due giorni prima. «Per i medici mio figlio non era un violento», aveva raccontato Larisa. Il 26 giugno, un mese e mezzo prima del delitto, un medico sportivo lo aveva dichiarato idoneo al pugilato. «Vi sembra che gli avrebbero dato il certificato se lo avessero ritenuto pericoloso?».
E l’inchiesta del pm Francesca Celle ha appurato proprio questo: che della bomba ad orologeria nascosta nei circuiti cerebrali di Fedchenko i medici che lo avevano avuto in cura non si erano resi conto. Il perito Ambrogio Pennati, nominato dal giudice, ha stabilito che l’ucraino presenta un «quadro psicopatologico di scrizofrenia paranoide di tipo continuo». Invece al termini del trattamento sanitario obbligatorio subìto dal giovane tra il 2007 e il 2008 i medici del Policlinico lo avevano ritenuto affetto da una «psicosi reattiva breve». Una diagnosi drammaticamente smentita dai fatti.
Perchè proprio quella mattina sia esplosa la furia di Oleg non si saprà mai. «Era un po’ di giorni che non mangiava, era nervoso, forse aveva litigato con la fidanzata», raccontò la madre. A dieci mesi di distanza, la morte di Emilou Aresu per la giustizia sembra destinata a restare senza colpevoli.

Commenta amaro Fabio Belloni, avvocato degli eredi della vittima: «Il rischio è che Emilou non abbia giustizia, come se fosse stata vittima di una catastrofe naturale e non di un delitto. E il fatto che la Regione abbia disdettato la polizza anticriminalità cancella la speranza per i suoi familiari di ricevere qualunque risarcimento».

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