La fine del «Madoff dei Parioli»: incastrato da una lite in famiglia

Patricia Tagliaferri

RomaPer il pm che li ha fatti arrestare lo scorso marzo la prova regina contro Gianfranco Lande e soci - i broker finanziari autori di una truffa milionaria ai danni di vip, calciatori, professionisti, politici e aristocratici romani - è talmente evidente da rendere inutile l’udienza preliminare. Giudizio immediato per tutti, dunque, come stabilito dal gip Simonetta D’Alessandro. La resa dei conti comincerà il prossimo 27 settembre, giorno fissato per la prima udienza davanti alla nona sezione del Tribunale, dove si daranno appuntamento centinaia di ignari investitori della «Roma bene» che negli anni hanno affidato i propri risparmi al cosiddetto «Maddoff dei Parioli» credendo talvolta a promesse di profitti irreali. Almeno 1.687 i clienti raggirati, 200 quelli che hanno denunciato.
Oltre a Lande, già titolare della società Egp Italia, saranno processati la sua compagna, Raffaella Raspi, il fratello di quest’ultima, Andrea Raspi, e i due amministratori della Eim, società collegata a quella di Lande, Roberto Torreggiani e Gian Piero Castellacci De Villanova. A seconda delle posizioni dovranno difendersi dalle accuse di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati di abusiva attività finanziaria, di truffa e di ostacolo all’esercizio delle autorità pubbliche di vigilanza. Per gli altri reati contro il patrimonio, quali appropriazione indebita e riciclaggio, la Procura procederà separatamente. I cinque operatori finanziari avrebbero ideato un «articolato e sofisticato meccanismo truffaldino che ha consentito di gestire un portafoglio di investimenti stimabile in un ammontare non inferiore a 300 milioni di euro investito in parte in azioni, obbligazioni, fondi d’investimento creati ad hoc, strumenti derivati e liquidità negli stati delle Bahamas, del Lussemburgo, della Gran Bretagna e del Belgio, fuori dei controlli legali previsti dalla normativa vigente». Amicizie importanti nei circoli che contano della capitale, sedi prestigiose, una selezione di clienti a cui venivano restituite «somme di gran lunga superiore al capitale investito» come specchietto delle allodole, fino a quando inevitabilmente i soldi dei nuovi investitori cominciano a essere usati per pagare gli interessi ai vecchi clienti interessati alla restituzione delle somme versate. Il pm spiega come Lande&co. «prospettassero e comunicassero ai clienti rendimenti fittizziamente elevatissimi, in realtà sono in alcuni casi corrisposti, rispettivamente ottenibili e maturati, facendo così apparire la straordinaria valenza dell’investimento effettuato, compatibile con pronta restituzione e assenza di rischio di perdita dei capitale investito». Agli investitori, osserva ancora il magistrato, è stato proposto di aderire allo scudo fiscale «per riottenere il capitale investito e il guadagno asseritamente ottenuto tramite delle società riconducibili ai sodali». Negli ultimi interrogatori gli indagati puntano il dito contro Lande. «Ci siamo fidati di lui», dicono. Tra i fratelli Raspi si apre una frattura. In una e-mail prodotta dalla difesa Andrea parla della sorella Raffaella, compagna di Lande, come di un «mostro che si cela nelle sembianze di quella giovane donna che porta il mio stesso cognome». Lei però dice di non «aver mai avuto percezione dell’astio del fratello, pur conoscendo il suo disaccordo sulla decisione dello scudo fiscale». Dal verbale di Maria Grazia Di Cesare, nel 1999 collaboratrice di Lande, emerge tutta la rabbia dei clienti traditi e di investitori calabresi pronti a passare alle vie di fatto.

La donna racconta delle telefonate quotidiane di lamentela e dei blitz nelle sedi della società di decine di risparmiatori che volevano indietro il denaro. In un caso «visto che le persone non si calmavano fu richiesto l’intervento della polizia».

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