E ora si affacciano pure gli imbucati ai
festeggiamenti post elettorali. A vincere a Milano e Napoli - lo dico
per promemoria - sono state la sinistra dura di Pisapia e quella
giustizialista di De Magistris. Ma vedo che si eccitano anche una
quantità di tamarri che, stando ai numeri, dovrebbero essere in
rianimazione. Che ci fanno tra i giubilanti il trio del Terzo polo,
Udc-Fli-Api, e i loro baldi condottieri Casini, Fini, Rutelli? E
l’euforico Bersani che sul palco al Pantheon si sbraccia per Romano
Prodi e gli offre il Quirinale, mentre non sa se domani sarà ancora in sella? Sembrano quei diciottenni con
i brufoli che nessuno si fila ma vanno egualmente alla festa, a costo
di fare da tappezzeria. Cominciamo dal trio centrista che dal doppio
turno delle amministrative esce più sconfitto dello strabattuto
centrodestra. I tre insieme sono più deboli di quanto fosse l’Udc da
sola e si attestano sul cinque per cento. Irrisori a Torino, Bologna,
Milano, hanno fatto un po’ meglio a Napoli, grazie al capolista Raimondo
Pasquino, un signore che si definisce demitiano, ossia un reperto
storico. Questo al primo turno. Al secondo, quello dei ballottaggi,
hanno deciso di non dare indicazioni di voto ai propri striminziti
elettori. Ohibò e perché?, chiederete voi. Risposta. Da un lato,
perché sono dei pesci in barile per natura. Dall’altro, per riaffermare
il chiodo fisso: siamo contro il bipolarismo, non siamo né di destra
né di sinistra, siamo i calmi, siamo i buoni e lasciamo liberi gli
elettori. In realtà, visti i drammatici risultati della tornata del 14
maggio, hanno semplicemente evitato di farsi contare. Pura tattica
per nascondere che il loro apporto - per la vittoria o la sconfitta -
sarebbe stato nullo. Adesso invece questi tre impudenti, che si erano
rifugiati impauriti nel mutismo, rovesciano la frittata e si
presentano al festino come se fossero stati indispensabili per i trionfi
di Pisapia e De Magistris.
Il più impudico, al solito, è Gianfranco Fini che
per sfacciataggine è imbattibile. Chiuse le urne, Gianfry - che è
ancora presidente della Camera (lo ricordo, perché a nessuno viene più
in mente)- ha telefonato a De Magistris per ricordargli il «prezioso»
contributo suo e dei suoi alla vittoria. Gli ha detto. «Spero di
vederti presto. Nel frattempo però rammenta che il nostro capo-lista (
il succitato reperto demitiano, prof. Pasquino, ndr )
si è dato da fare per te nel ballottaggio », ergo trovagli un posto e
vedi di esserci grati. Ecco: questo intendo per imbucati. Tralasciamo
l’inverecondia personale dell’ex leader di An, ma né lui né i suoi due
sodali del Terzo polo- Pierferdy Casini e Cicciobello Rutelli - hanno
ufficialmente mosso un dito per l’ex pm, eppure presentano egualmente la
cambiale all’incasso. Inutile dire che è una truffa, poiché il loro
presunto apporto non è minimamente verificabile. Per quanto se ne sa,
gli elettori del trio, lasciati a se stessi, potrebbero essere rimasti
tutti a casa.
Cosa peraltro probabile dato che a Napoli circa
metà degli aventi diritto, disgustata da lustri di
democristiancomunismo bassoliniervolinesco, ha disertato i seggi. Da
Fini ci si deve ormai aspettare di tutto. Al momento, è su di giri
perché il Cav, l’arcinemico, ha preso una scoppola grossa come il
cenotafio di Arcore. «Il berlusconismo è archiviato », ha gongolato a
caldo. Vero o no,è l’unico motivo della sua gioia. Altri non ne ha. I
voti del suo Fli - il partito che condivide con le tre Grazie, Bocchino,
Granata e Briguglio - si sono attestati sull’uno e rotti per cento.
Una percentuale da lista civica di pescatori di telline a Borca di
Cadore. Se non lo trattenesse l’odio per il Cav, Gianfry dovrebbe
emigrare a Montecarlo. Pensate che An, la sua ex compagine fiorita
all’ombra del berlusconismo, nelle ultime elezioni in cui si presentò,
quelle del 2006, raccolse oltre il 12 per cento dei suffragi. E anche
dopo la fusione nel Pdl, An e Fi uniti ebbero più voti di quanti non
ne avessero separatamente. Ora, invece, dopo essersi fatto comandare a
bacchetta da un livore da pastore anatolico (categoria nota per le
faide), Fini è diventato un’entità politica pari a Turigliatto. Ma non
ci bada, perché gli basta che pure il Berlusca sia in disgrazia, anche
se la disgrazia del Berlusca veleggia- presumiamo, in attesa di calcoli
- sul 25-30 per cento. Perciò, avvolto dai fumi di un’infantile
euforia, si è spudoratamente vantato: «Io ho fatto tutto quello che
potevo fare per fare finire il governo». È l’ammissione di come ha
ridotto la «neutrale» presidenza della Camera: un’occulta casamatta da
cui tramare contro l’istituzione Palazzo Chigi. Nutriamo speranza che
Napolitano trovi uno spiraglio, tra le esternazioni di pranzo e quelle
di cena, di spiegare a Gianfry la differenza tra la penisola italiana e
l’atollo della Spectre.
Ci sono poi i residui centristi. Una sottospecie di tre cartista politico alla Fini, è il ventriloquo di Casini, Lorenzo Cesa, che ha venduto la stessa fuffa: «Siamo stati determinanti ai ballottaggi». Il giorno che lo dimostri, Lorenzo, il Giornale ti offre cena. Gli altri perdenti del Terzo polo - che so, Rutelli, Tabacci, Bocchino ecc. - tacciono sulla propria catalessi. Manifestano però illimitata contentezza per la sconfitta dell’orrido facocero arcoriano e la fine del berlusconismo. Antevedono l’inizio di un nuovo mondo, senza però- ahi loro- chiedersi se ne faranno parte. Una prece. Due parole per concludere su Bersani e il Pd. Si sentono vincitori e non hanno vinto niente. Dopo venti anni di danni, hanno perso Napoli. Il loro candidato è stato espulso al primo turno. Al secondo, senza essere invitati, si sono uniti al banchetto di De Magi-stris, infilandosi tra le gambe dei commensali come cagnetti a caccia di briciole. A Milano, hanno dovuto inghiottire Pisapia al posto del loro candidato Boeri e inchinarsi alla supremazia della sinistra vendoliana ( contro la quale il Pd era nato tre anni fa). Ambivano allearsi col centro, ma è crollato. Adesso sono a rimorchio della sinistra che detta le condizioni. Sognavano di essere le mosche cocchiere. Si sono risvegliati con un pugno di mosche.
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