Roma - Staccare la spina e desiderio di bonaccia dopo le solite acque agitate all’interno del partito. Gianfranco Fini si ritaglia una domenica all’insegna della distensione e sceglie il silenzio per non offrire il fianco all’ennesima lettura di contrapposizione con Berlusconi. Poi, la testa in fondo è rivolta ad altre beghe: elezioni regionali alle porte, pasticcio del ritardo nella presentazione delle liste in Lazio in primis. Su questo punto sarebbe sbottato: «Ma come? Se le liste erano pronte, perché non le hanno presentate alle nove e mezzo della mattina, invece di aspettare così tanto?».
Se il presidente della Camera opta tuttavia per il mutismo, disposti a parlare sono alcuni dei suoi uomini più vicini. In merito al braccio di ferro continuo tra premier e il cofondatore del Pdl, su cui anche ieri il Giornale ha dato conto, c’è chi tra i finiani non pare per nulla adirato, anzi. Un parlamentare molto vicino all’ex leader di An addirittura sorride: «Incredibile, a parte il titolo (“Così Fini vuol rubare il Pdl al Cavaliere”, ndr), Feltri ha detto le stesse cose di Gianfranco, soprattutto sul versante riforme». Insomma, anche Fini in realtà vorrebbe «superare la paralisi dell’attività legislativa»; vorrebbe «riformare la giustizia, troppo lenta e pasticciona»; vorrebbe «modernizzare la macchina dello Stato»; vorrebbe «eliminare il bicameralismo perfetto e ridurre il numero dei parlamentari». In più, non soltanto ieri, il presidente della Camera sarebbe rimasto infastidito dal fatto che «con la maggioranza che abbiamo dobbiamo finalmente riuscire a cambiare il Paese. Il Pdl corre il rischio di galleggiare». A impensierire Fini è il timore che partito e maggioranza siano troppo «fermi» e «non va bene che ognuno coltivi il proprio orticello». Raccontano, però, di un Fini sereno e per nulla seccato dall’editoriale del Giornale di ieri in cui è stato dipinto come futuro leader, pronto a prendere le redini del partito.
Qualche finiano cerca di farsi portavoce del presidente della Camera e assicura: «Tra Berlusconi e Fini c’è qualche divergenza, inutile negarlo - ammette il deputato Amedeo Laboccetta -. Ma alla fine i due trovano sempre le ragioni di una coabitazione». E sulle estenuanti tregue siglate ma poi rotte poche ore dopo, Laboccetta sostiene che «è tutta colpa degli ultrà, delle rispettive tifoserie, presenti in un campo e nell’altro. Sono i cosiddetti “falchi” che spesso spingono per la rottura». Una rottura che, giura l’onorevole, «non avverrà perché quando i due si parlano a quattr’occhi, senza gli accessori, si capiscono a meraviglia così come vuole un elettorato che non fa più distinzioni tra ex aennini ed ex forzisti».
Eppure qualche differenza tra «ex» c’è, eccome, come riconosce un anonimo finiano doc: «Come ha giustamente scritto Feltri noi veniamo da un partito in vita da più di mezzo secolo. Tradotto: la nostra forza è la storia e il territorio - punge i colleghi ex azzurri - e per esempio questa figuraccia sulle liste in Lazio non l’avremmo fatta». Vero anche che tra i tre coordinatori nazionali del Pdl l’ex aennino Ignazio La Russa è quello più scafato nel costruire e gestire personale politico di vecchio stampo. Che storia e tradizioni pesino non poco lo ammette pure il finiano-ala laica Benedetto Della Vedova: «Io, che vengo dal Partito radicale, un piccolo partito, so cosa vuol dire. È fisiologico che gli uomini che provengono da An abbiano una struttura alle spalle ben più radicata». Anche il deputato pidiellino, tuttavia, veste i panni del pontiere: «Gli scontri tra i due? Sono fisiologici in un grande partito.
Non solo: un confronto duro e aperto non distrugge il partito ma lo rafforza, a patto che il contrasto non avvenga su basi personalistiche ma prettamente politiche». Poi, la rivendicazione della giustezza delle posizioni di Fini, «specie sui temi etici, dei diritti civili e del rapporto con la Lega: se inseguiamo il Carroccio sul loro campo la partita è persa in partenza».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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