Fini imparziale? Anche il Colle ha dei dubbi

RomaBerlusconi, Bossi, il portavoce del Pdl, il capogruppo del Pdl alla Camera, addirittura i vecchi compagni di partito. Tutti incalzano, insistono, e con il passare delle ore altri si accodano sempre più numerosi: Gianfranco Fini è incompatibile con il ruolo di presidente della Camera. Non è più super partes, è «capofazione». Sta usando le prerogative costituzionali del suo ruolo a fini politici. Quindi se ne deve andare.
Il Quirinale risponde per ora con il silenzio alla richiesta di un incontro urgente espressa dal premier e del leader leghista in una nota congiunta dopo il vertice dell’altra notte ad Arcore. La replica informale è che Napolitano non ha ancora ricevuto ufficialmente un contatto da Berlusconi e Bossi. A prima vista sembrerebbe una presa di distanza, in realtà la reazione è meno misteriosa di quanto possa apparire: la domanda bollata di una salita al Colle in effetti ieri non era ancora stata inoltrata per le vie canoniche. Qualora Bossi e Berlusconi volessero essere ricevuti per discutere dell’attuale situazione politica, l’incontro sarebbe concesso in tempi brevissimi. Sul caso Fini, invece, si apprende da fonti del Quirinale, per il momento non viene presa in considerazione l’ipotesi di una sfiducia perché non esiste l’istituto della sfiducia al presidente della Camera. Il presidente della Repubblica potrebbe, e anzi dovrebbe, intervenire solo qualora la Camera fosse sostanzialmente bloccata da un ostruzionismo insostenibile del centrodestra, o se il presidente di Montecitorio non rispettasse il regolamento interno. È vero però - come si apprende sempre dal Colle - che l’intervento di Fini a Mirabello è apparso come una discesa in campo un po’ troppo decisa per un custode del Parlamento. C’è chi sussurra che Napolitano non avrebbe propriamente gradito i toni usati dalla terza carica dello Stato.
Bossi ha comunque ribadito ieri l’intenzione fermissima di incontrare Napolitano. Ogni decisione sarà anzi presa dopo il colloquio al Quirinale. Il Senatùr continua a insistere per le elezioni, anche sulla chiamata autunnale alle urne, ha smorzato, «dipende da quello che vuol fare Berlusconi». In attesa dell’udienza al Colle, si intensificano le richieste di dimissioni del fondatore di Futuro e Libertà dalla presidenza della Camera, e addirittura il Corriere della Sera, in un fondo di Massimo Franco, ieri faceva notare come a questo punto dei giochi la posizione di Fini «politicamente è diventata effettivamente anomala», anche se «dal punto di vista formale nessuno può costringerlo alle dimissioni». Il nodo è proprio questo: Fini non è rimuovibile dalla sua poltrona. In un dibattito andato in onda su Sky, il costituzionalista Alberto Capotosti spiegava: «Non c’è nessun meccanismo di sfiducia del presidente della Camera».
Mentre Napolitano ieri riceveva la presidente finlandese Tarja Halomen s’invocava un intervento del Colle sull’«anomalia» Fini. Perché ci sono le barriere tecniche, ma la deformazione politica di un presidente della Camera che fonda un nuovo gruppo parlamentare e spara un giorno sì e uno pure sul governo è sotto gli occhi di tutti. Durissimo il portavoce Pdl, Daniele Capezzone: «Mai nessuno aveva tentato di usare la terza carica dello Stato come uno sgabello da cui tenere comizi contro, come uno strumento con cui condurre campagne faziose e di parte».
«Fini può anche decidere di fare una scissione - valutava anche il capogruppo Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto - ma non è legittimo che lo faccia come presidente della Camera, ruolo che dovrebbe porlo al di sopra delle parti».
Sul quotidiano online del Pdl Il Predellino, il deputato Giorgio Stracquadanio ha scritto che è necessario far presente al capo dello Stato il fatto che «l’uomo che dovrebbe assicurare la neutralità del Parlamento ha deciso di utilizzare, a fini politici, i poteri parlamentari che la Costituzione e il regolamento della Camera gli attribuiscono». La presidenza di Fini segna un «grave precedente istituzionale», concorda anche Domenico Nania, ex An, ora rimasto nel Pdl. Prevedibili le critiche feroci dei finiani, da Bocchino a Della Vedova: la proposta di dimissioni è «irricevibile e gravissima», o «da analfabeti».

«Un vulnus per la democrazia» per il viceministro dello Sviluppo Economico, Adolfo Urso. Un po’ meno scontata la presa di distanza di Beppe Pisanu, ex ministro dell’Interno: la richiesta del premier e di Bossi di incontrare Napolitano «non è prassi costituzionale».

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