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Fini marcia con Berlusconi: «Diremo sì alla missione se la sinistra fa autocritica»

L’ex vicepremier: «Ammettano che quelle in Irak e in Afghanistan sono azioni umanitarie». Poi frena Casini sulla Cdl: «Il problema della leadership? Inopportuno». Su Prodi: «Inflessibili su tutti i fronti»

Laura Cesaretti

da Roma

La missione italiana in Libano? «Voteremo sì solo se il governo riconoscerà la continuità con le altre missioni in Irak e Afghanistan, perché anch’esse sono azioni umanitarie e di pace», e la maggioranza di centrosinistra deve avere «l’onestà intellettuale di riconoscerlo». Dal podio della festa del suo partito a Mirabello, Gianfranco Fini si schiera a fianco di Sivio Berlusconi e detta le condizioni perché la Cdl dia il suo appoggio parlamentare all’iniziativa militare del governo.
«Nessuna marcia indietro», assicura l’ex ministro degli Esteri. «Ho sentito stamani Berlusconi e siamo d’accordo. Del resto - aggiunge Fini - neanche lui ieri ha detto no alla missione. Si è limitato a ricordare che vanno rispettate le condizioni poste». L’esecutivo «deve uscire da ogni ipocrisia: non è possibile che le missioni internazionali all’epoca del nostro governo fossero di guerra, mentre quelle di oggi sono pacificatrici. E mi indigno - prosegue Fini - a vedere che sono scomparse le bandierine della pace: dove sono finiti quelli che le agitavano?».
Il leader di An auspica che la Cdl «non si divida» nel voto parlamentare sul Libano: «Mi auguro che se ne possa discutere con gli amici dell’Udc, che certo non hanno alcuna intenzione di aiutare Prodi». Ma intanto prende nettamente le distanze da Pierferdinando Casini, pur premettendo di non avere «alcun dubbio» che il capo dell’Udc voglia «anche lui rappresentare un’alternativa al governo di centrosinistra». È all’ex presidente della Camera che Fini si rivolge quando ricorda che «tutti gli elettori del centrodestra chiedono a noi, leader della coalizione, di non dividerci, di non fare come i polli di Renzo, ma di fare un’opposizione seria al governo Prodi». Ed è ancora a Casini che parla quando si erge a difensore della leadership berlusconiana nella Cdl: un problema, spiega, che «non è all’ordine del giorno», e di cui «in questa fase non è opportuno discutere». Innanzitutto per «realismo politico», visto che «abbiamo votato da poco e il risultato elettorale mi sembra sia stato chiaro: se un partito ottiene il 24%, il doppio del mio, qualche conseguenza ce l’ha». Conseguenze che anche Casini (la cui Udc ha preso circa la metà dei voti di An) dovrebbe valutare appunto con «realismo», secondo Fini. Della questione si parlerà «solo alla vigilia delle prossime elezioni, e vorrei ricordare a tutti che non si vota domani». Nel frattempo, invece, va rilanciato l’obiettivo del «soggetto unitario del centrodestra», mettendo all’ordine del giorno le «forme di collaborazione tra i partiti della coalizione».
Al governo, il leader di An promette un’opposizione «inflessibile» e a tutto campo: dalla Finanziaria all’immigrazione, dalla droga alla Rai, attorno alla quale si avvertono «sintomi di una sfrenata tendenza alla lottizzazione da parte del centrosinistra». «Se le nomine Rai saranno fatte nel segno della lottizzazione», annuncia Fini, «sono d’accordo con Berlusconi per indire uno sciopero del canone: chi paga per un servizio pubblico ha diritto a fruire di un pluralismo di voci». Sull’immigrazione, il leader di An definisce «preoccupante» la proposta Amato di concedere la cittadinanza dopo cinque anni, e minaccia il ricorso al referendum se l’Unione dovesse «abbattere il pilastro su cui si regge la legge che porta il mio nome, ovvero il nesso tra lavoro e ingresso nel nostro Paese». E promette di «chiamare a raccolta tutti gli italiani» se il governo dovesse mai promuovere «la liberalizzazione delle droghe».

Infine, una sfida ai sindacati: «Li voglio vedere in piazza, e se non ci andranno, specialmente alcuni sindacati dimostreranno di aver da tempo lasciato l’interesse dei lavoratori e avere più a cuore quello della sinistra italiana».

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