Fabrizio de Feo
nostro inviato a Orvieto
La tentazione di trasformare la convention della Destra Sociale di Orvieto in un nuovo «sfogatoio» contro quello che da queste parti viene definito come il «cesarismo finiano» cè tutta. Ma Gianni Alemanno e Francesco Storace, fin dalla cena di venerdì sera, danno indicazioni precise ai propri uomini: «Ragioniamo di politica con passione ma soprattutto con serietà e pacatezza». È questo il messaggio che risuona tra i tavoli. Una sordina ai malumori interni che rispecchia il desiderio di uscire dal ghetto della protesta e di provare a «restaurare» limmagine di un partito lacerato prima dal drammatico redde rationem allAssemblea nazionale e poi dal repulisti finiano dellorganigramma, scattato allindomani della conversazione rubata ai colonnelli in un bar romano.
Nessuno scontro frontale, insomma. Meglio ripartire dal ragionamento e, se possibile, riaccendere il dialogo con Gianfranco Fini. Alemanno, in particolare, si sta spendendo per convincere il leader di An a uscire dal «bunker dei fedelissimi» e tornare a confrontarsi con la propria classe dirigente, quella esclusa dalla tornata di nomine che ha portato alla ribalta i dirigenti un tempo relegati nella seconda fascia del potere interno. «Ci aspettano appuntamenti importanti, il dibattito sul partito unico, le risposte da fornire sulla sicurezza e una Finanziaria che non deve essere elettorale ma deve rappresentare un manifesto delle cose in cui crediamo», spiega con pacatezza il ministro delle Politiche Agricole. «Fini non può pensare di affrontarli da solo ma deve coinvolgere la sua classe dirigente. Finora non abbiamo avuto occasione per approfondire il dialogo, ci siamo parlati solo sporadicamente. Ora è arrivato il momento di confrontarci».
La disponibilità del leader della Destra Sociale passa anche attraverso unapertura sul partito unico e sul proporzionale. «Alle elezioni del 2006 dobbiamo andare con i nostri simboli ma io non escludo di far parte della Costituente. Dobbiamo capire quale partito si vuole costruire. Il proporzionale? Lidea mi piace ma bisogna studiarla bene». Se Alemanno veste i panni del pompiere gli altri protagonisti non rinunciano ad accendere qualche focolaio di polemica verso il presidente del partito. Teodoro Buontempo, ad esempio, sceglie i toni arringatori che gli sono naturali. E parla apertamente di «un vuoto profondo tra il leader e il partito». «Non si può avere carta bianca per quindici anni e poi dire che il partito non è adeguato al leader perché questo equivale a una sconfitta per il leader. Teorizzare un partito alla destra di An? No, non ci fregano con il nostalgismo, a farci rinchiudere nei ghetti non ci stiamo». Sceglie una via più soft ma non per questo priva di asperità polemiche Alfredo Mantovano. «Ricordo a tutti che allAssemblea nazionale abbiamo approvato un ordine del giorno che conteneva un richiamo alto di prospettive e contenuti. Mi sono distratto: finora quellodg ha avuto un inizio di attuazione?». Molti appunti da fare al leader li ha anche Carmelo Briguglio, ex capo della segreteria politica di An prima del colpo di spugna oltre che mente pensante della Destra Sociale. «Bisogna smettere di spazzare la polvere sotto il divano. I dirigenti devono avere la schiena dritta e dire sì o no quando occorre. Cè un problema di democrazia interna nel partito. In questi giorni si è rotta lunità sostanziale della classe dirigente, decisa dal congresso di Bologna che su questa base aveva concesso a Fini il suo mandato. Fini, quindi, ha il dovere politico e morale di ricostruire lunità e rilanciare An prima di fare i conti con il soggetto unitario. Altrimenti meglio unaltra strada: quella della maggioranza e dellopposizione nel partito». Paletti precisi Briguglio li pianta anche rispetto al partito unico. «La scelta finale dovrà essere affidata al congresso o a un referendum tra gli iscritti.
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