nostro inviato a Barcellona
Gianfranco Fini la butta lì già di prima mattina. Quando sullaereo che lo porta a Barcellona qualcuno gli fa notare il titolo di un quotidiano dedicato allultimo assalto di Umberto Bossi al tricolore («è un simbolo che non ci appartiene»). «Fa parte - dice con un sorriso il leader di An - del repertorio propagandistico della Lega». Unargomento su cui tornerà più tardi, dopo gli incontri con Jordi Pujol, padre storico dellautonomismo catalano, e con il suo erede Artur Mas, presidente di Convergencia i Uniò.
Daltra parte, nel loro faccia a faccia Fini e Pujol parlano a lungo del modello catalano e, spiega lex ministro degli Esteri, di «come organizzare lattribuzione di poteri e la distribuzione dei compiti» a livello locale «in modo che il cittadino ne possa trarre il maggior beneficio». In una parola, federalismo. Così, a sole ventiquattrore di distanza dal rito dellampolla officiato come ogni anno da Bossi nella laguna di Venezia, non solo Fini prende come prevedibile le distanze dallattacco al tricolore, ma critica anche lidea di Padania come entità a se rispetto al resto del Paese. Perché, spiega, «la Catalogna ha sulle spalle otto secoli di storia», fatti di una cultura e una lingua.
Insomma, dice Pujol, «noi siamo una nazione vera non una parte senza personalità della Spagna». In Italia, invece, la spinta autonomista «è sostanzialmente di natura economica». «Argomentazioni nelle quali Fini dice di riconoscersi «al cento per cento» anche se, ammette, «esiste una questione settentrionale di cui la Lega ha il merito di essersi fatta carico». Però, ribadisce, la realtà catalana «è decisamente diversa per storia e cultura». Insomma, «parlare di identità padana o di identità lombarda ha poco senso» perché «la Padania esiste solo nel repertorio comiziale stanco e ripetitivo con cui Bossi si rivolge ai suoi militanti». E così pure lattacco al tricolore va «derubricato secondo la distinzione tra propaganda e politica». Anche se, tiene a precisare Fini, nelle sue parole non cè alcuna volontà polemica verso «gli amici della Lega». Ma, aggiunge, «pensate forse che dal presidente di An ci si possano aspettare parole meno nette su chi non riconosce il tricolore». «Fini bestemmia» gli risponde Roberto Calderoli. «Negare lesistenza dellidentità padana significa per me negare che io esisto».
Da Barcellona, però, dopo aver sottolineato unaltra differenza tra la Lega e la Convergencia catalana («la vocazione europeista di Pujol non è in discussione»), Fini riconosce sì al Carroccio il «merito di aver avviato il dibattito sul federalismo» che «rimane in agenda», ma aggiunge pure che «questo non significa lo si debba fare domani o in questa legislatura dialogando con Prodi». Un altro appunto, insomma, alla linea politica della Lega degli ultimi tempi che più volte ha provato a strizzare locchio alla maggioranza. Un atteggiamento dettato anche dallavvicinarsi del referendum sulla legge elettorale. Verso il quale, dice Fini, «Bossi ha un timor panico». Per questo «ogni volta che si parla di riforma elettorale Bossi dice di essere pronto a discutere in Parlamento». Se «ci sono le condizioni», aggiunge Fini, «faremo la nostra parte, ma non purché sia. Anche perché una legge purché sia non vanifica il ricorso al referendum».
Poi, il leader di An esclude di fatto il modello tedesco che «da noi non va bene». Mentre in Germania certe cose «sono sacre», infatti, in Italia «servono alleanze preventive perché cè una certa attitudine al trasformismo».
Negli incontri - prima Pujol, poi Mas e infine il presidente dellUniò democratica de Catalunya Antoni Duran i Lleida e il leader del Partido Popular de Catalunya Daniel Sirera - si parla anche dellingresso di An nel Partito popolare europeo. Per il quale Pujol - che pur non essendo nel Ppe ha un forte potere dinterdizione a Bruxelles - ha promesso di spendersi in prima persona.
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