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Fini: «Riforme anche a maggioranza»

RomaIn linea generale, «un leader non insegue le inclinazioni di un popolo, bensì lo guida». Poi, saranno i posteri a stabilire «chi è stato un vero statista o un populista». Al riparo da taccuini e telecamere, dinanzi però a 200 liceali, Gianfranco Fini invita a guardare lontano, senza lasciarsi condizionare dai propri sostenitori. Un concetto già espresso ma che rimbomba subito fuori dell’Aula magna, off-limits per i cronisti al «Giulio Cesare». Un ragionamento che va contestualizzato, in cui manca il riferimento diretto allo scenario italiano. Per essere chiari: il presidente della Camera non nomina Berlusconi, nonostante il link con il Cavaliere sia avvertito da alcuni dei presenti.
Ma andiamo avanti, occupandoci di riforme. Capitolo chiave, con il co-fondatore del Pdl che invita a coniare il «sistema italiano», se non si vuol seguire l’esempio semi-presidenziale francese. Senza doppio turno, «parliamo di un’altra cosa». Schema che però «rimane sempre il mio preferito. Non so se sia il migliore per il nostro Paese. Al di là delle scelte, dobbiamo stare attenti al principio da garantire. Una democrazia deve rispondere a due fattori: rappresentativo e governante». Nessun dogma purché sia garantito un «equilibrio sostanziale dei poteri».
Fini ripete che sarebbe «opportuno ma non indispensabile» che il pacchetto di «riforme così importanti» siano «condivise dal numero più ampio possibile delle forze politiche», per evitare di riscottarsi con il referendum. Ma in caso contrario, «non si può certo dire “vergogna”, se la maggioranza modifica da sola una parte della Carta», come prevede il suo articolo 138.
Sono risposte ad ampio raggio, quelle che Fini, accolto dalle note dell’inno di Mameli, concede ai diplomandi romani. Peccato che sfugga invece a taccuini e telecamere, tenuti a distanza sul marciapiede: pare per motivi di sicurezza, dovuti alla ridotta capienza della sala. O forse, secondo i maligni, per evitare polemiche, dopo l’affondo di Sandro Bondi, che gli chiede di smetterla con il «controcanto».
Si rientra nei binari, che seguono un tema molto a cuore all’ex leader di An: I giovani, la Costituzione e le Istituzioni. Un argomento che Fini affronta per oltre un’ora, in un botta e risposta che si conclude con l’intervento del giovane Vittorio Occorsio, ex allievo a Corso Trieste e nipote omonimo del giudice ucciso dal terrorismo di estrema destra nel ’76. «Pur venendo da posizioni agli antipodi, fa piacere trovarsi sulla stessa linea», attacca l’universitario, che lamenta il «rischio» di venire «travolti dallo spirito del tempo», per mancanza di rispetto verso magistratura e minoranze. Un punto su cui Fini concorda - tra chi lo racconta c’è pure Occorsio -, lesto a replicare intanto con una battuta: «Qualche tempo fa un parlamentare mi disse “Noi siamo agli antilopi”, invece che “agli antipodi”». Ironia che regge pure un inciso sulla legge elettorale: «Anche prima non si eleggevano mica tutti premi Nobel...».
Sorrisi a parte, la terza carica dello Stato allarga il discorso e torna sul rischio «populismo». Lo fa con un esempio pratico: «Se al posto di svolgere due lezioni in una settimana, io vi propongo di farne una, voi mi date un sacco di voti». Così «si fa presto» ma «non sarei un leader», che per essere tale «deve avere una visione che vada oltre», per «guidare e non seguire». In ogni caso, «solo alla lunga distanza si vede la differenza tra un populista e un vero statista». Si riferisce al Cavaliere? Nessuno conferma, qualcuno invece ammicca, sorridendo. Si chiude con la riforma della giustizia: «Va bene la separazione delle carriere, purché i pm non siano alle dipendenze dell’esecutivo». Bocca cucita sulle intercettazioni: «Taccio per il mio ruolo e per il rispetto dei colleghi che al Senato stanno per affrontare la questione». Già. E «sarebbe un bene che lo facessero tutti», per «evitare» magari dibattiti tv che ricordano tanto i «serragli».
In serata fa da controcanto a Fini il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, che, in tema di riforme ribadisce la convinzione secondo cui il metodo giusto per realizzarle è quello del confronto con tutti. «Il Pd è un interlocutore indispensabile. Bisogna evitare che si ripeta ciò che è successo quando abbiamo fatto le riforme che sono state bocciate dal referendum. Noi le riforme le vogliamo fare e dobbiamo parlare con tutti». Secondo Maroni, «siamo nella fase delle schermaglie. Le riforme sono la sfida che la maggioranza ha davanti nei prossimi tre anni.

Vorrei che si usasse il metodo che abbiamo utilizzato per l’agenzia nazionale dei beni sequestrati alla mafia quando c’è stato il voto unanime alla Camera e al Senato senza nessun astenuto».

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