Roma - È di nuovo scontro tra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi. E questa volta non c’è l’attenuante di una frase pronunciata di fronte a interlocutori non politici e rubata «fuori onda» da microfoni che si pensavano spenti.
Ieri il presidente della Camera ha risposto al presidente del Consiglio con un comunicato ufficiale di Montecitorio. «Le parole di Silvio Berlusconi, secondo cui la Consulta sarebbe un organo politico, non possono essere condivise. Mi auguro che il premier trovi modo di precisare meglio il suo pensiero ai delegati del congresso del Ppe per non ingenerare una pericolosa confusione su quanto accade in Italia e sulle reali intenzioni del governo».
La precisazione non è arrivata. Il premier non ha corretto il tiro e ha, anzi, replicato a Fini con una frase che dovrebbe essere un no comment, ma che suona come una condanna senza appello per il cofondatore del Popolo della libertà: «Non c’è niente da chiarire. Sono stanco delle ipocrisie, tutto qua». L’ipocrisia è quella del non criticare organi costituzionali. E non tirare in ballo il Quirinale, le nomine alla Consulta e le posizioni politiche stesse di Giorgio Napolitano.
Secondo ambienti vicini a Fini, è stato proprio questo passaggio ad avere provocato una replica così netta e ufficiale. Sarebbe stato lo stesso Napolitano a chiedere l’intervento del presidente della Camera, incardinato nella citazione degli articoli della Costituzione che riguardano la Consulta.
Una presa di posizione istituzionale, quindi, ma dagli effetti tutti politici. Primo tra tutti, il colpo di spugna all’idea, sponsorizzata nei giorni scorsi proprio dagli ambienti vicini al presidente della Camera, di un incontro pacificatore tra i due. Il termometro della situazione nel Pdl ieri lo davano le dichiarazioni degli esponenti ex An, tutte in sostegno a Berlusconi. Il presidente dei senatori Pdl Maurizio Gasparri ha ricordato che il giudizio del Pdl sulla recente decisione della Corte costituzionale sul Lodo Alfano non è una novità. «La sentenza ha sorprendentemente smentito decisioni precedenti e in molti abbiamo rilevato il significato politico di questa scelta. Che poi storicamente molte nomine abbiano nei decenni privilegiato l’area di sinistra è altrettanto evidente». Per il ministro della Difesa Ignazio La Russa Berlusconi «ha detto la verità, perché si riferiva a un dato storico: che gli ultimi tre capi di Stato che hanno eletto i giudici della Consulta sono di sinistra. Questa è una verità storica, non c’era nulla di offensivo». Va direttamente al punto Altero Matteoli, ministro alle Infrastrutture: «Nulla di nuovo. Sulla giustizia, da qualche tempo, le posizioni di Fini e Berlusconi non sono sullo stesso piano».
Gli ex An, quindi, prendono atto delle posizioni di Fini, non seguono l’ex leader, ma non rinunciano a una presenza dentro il Pdl, come dimostra una indiscrezione dei giorni scorsi su una possibile nuova convention delle fondazioni ad Arezzo organizzata dall’area Destra protagonista. Ci dovrebbero essere tutti i think tank del centrodestra, ad eccezione della fondazione finiana FareFuturo, che non è stata invitata.
L’idea di una rottura definitiva, almeno in questa fase, sembra piacere molto poco allo stesso Fini, protagonista di un siparietto durante un incontro con i rappresentanti dei comuni. Quando ha chiamato il Pdl «il mio partito» qualcuno vicino a lui ha commentato «meno male, mi fa piacere sentirtelo dire». E lui, pronto: «Almeno finché non mi cacciano». Se ci sarà una rottura, non sarà oggi, tanto che i più accesi finiani sono stati invitati a non esagerare con i toni. La cartina di tornasole sono le dichiarazioni di Fabio Granata, deputato vicino al presidente della Camera.
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