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Fini tira ancora le orecchie al Pdl «Non sia subalterno alla Lega»

RomaDiversi dalla Lega Nord. Alleati, sicuramente, ma non sovrapposti, altrimenti l’elettorato finirà per preferire l’originale alla copia. Il presidente della Camera Gianfranco Fini sbeffeggia le tesi complottiste, dice no alle correnti, individua nel «sogno» di Silvio Berlusconi il cardine delle fortune future del centrodestra. Però non rinuncia a rivendicare di nuovo il diritto a parlare in libertà del Pdl. E sceglie di farlo affrontando la questione settentrionale. «Il Pdl non deve essere subalterno alla Lega Nord», ha spiegato alla presentazione dell’ultimo numero di Charta minuta, bimestrale della Fondazione Farefuturo di Adolfo Urso. «Tra l’originale e la fotocopia - ha aggiunto Fini - si compra sempre l’originale». E questo problema si pone soprattutto al Nord. Lì c’è la concorrenza del partito di Umberto Bossi e il Pdl ne deve tenere conto, senza «buttare a mare l’alleanza» con la Lega. L’importante è «dire no a una politica del Pdl che sia la fotocopia di quella leghista». Ma il presidente della Camera ci tiene a prendere le distanze dalle critiche al Carroccio della sinistra. E si smarca anche dagli allarmi sull’integrità nazionale, cari all’Udc di Pier Ferdinando Casini. «Non è a rischio l’unità nazionale». Semmai bisogna fare attenzione alla rabbia del settentrione. «Se uno pensa oggi di prendere iniziative a sostegno del meridione impegnando nuove risorse, questo è il modo migliore per far crescere al Nord un sentimento antinazionale, anche perché, in verità, i soldi al sud ne sono stati dati anche troppi».
A differenza di quando aveva auspicato il silenzio su Eluana Englaro, le tesi esposte ieri dal presidente dell’Aula di Montecitorio sono compatibili con quelle del Pdl. E per questo rivendica il diritto a dare «un contributo di idee, senza per questo voler disturbare il manovratore» e a promuovere un dibattito «al di là degli schemi della ortodossia e della eresia». «Nel nostro partito - ha proseguito - le porte delle idee sono girevoli. Si entra e si esce in rapporto al contributo che si riesce a dare al dibattito. Non c’è per questo nessun gruppo di congiurati, come pure non ci si può obbligare ad avere sempre le stesse opinioni». No, quindi, al «pensiero unico». E nessun dubbio sulla leadership di Silvio Berlusconi a cui va il merito «di aver vinto lanciando un sogno e una prospettiva. Su questo terreno il Pdl con le sue iniziative giocherà tutta la sua credibilità».
La strategia politica del cofondatore del Pdl - ha assicurato ieri - non contempla la formazione di una corrente. «Dando vita al Pdl noi abbiamo chiuso una pagina del Novecento, una pagina di storia repubblicana, prima con il Msi e poi con Alleanza nazionale, che aveva il 12 per cento. E tutto questo noi lo avremmo fatto per fare una corrente? Se è così, ricoveratemi!».
Sulle riforme Fini insiste, sostenendo che questa può ancora diventare una legislatura di cambiamenti promossi da entrambi gli schieramenti. Ma la legge elettorale non è la chiave di volta del cambiamento. Puntare su quella «sarebbe come guardare anziché la luna, il dito che la indica».
Poi le riforme delle istituzioni, come quella del federalismo, per le quali Fini suggerisce di andare avanti a piccoli passi. E di spacchettare.

«Si può pensare di mettere sui binari diversi disegni di legge, sapendo che alcuni treni non arriveranno in stazione». E le convergenze con il centrosinistra? Su alcuni temi come il superamento del bicameralismo e la riduzione del numero dei parlamentari.

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