Fondo monetario: il caro-petrolio frenerà la crescita

Il Pil mondiale rischia un minor sviluppo dell’1-1,5% se i prezzi saliranno di un altro 10%. Il Brent tocca il record di 70,20 dollari

da Milano

Una minor crescita dell’economia globale tra l’1 e l’1,5% se i prezzi del petrolio subiranno un ulteriore aumento del 10%. È il Fondo monetario internazionale, che ieri ha presentato i primi tre capitoli del World economic outlook 2006, a quantificare i danni potenziali derivanti dal caro-greggio. L’analisi è quanto mai tempestiva (proprio ieri il Brent ha stabilito il record assoluto a 70,20 dollari) e indulge poco all’ottimismo. Anche perché «gli investimenti scarsi e la domanda sostenuta», ha spiegato il vicedirettore delle Ricerche del Fmi, David Robinson, manterranno verosimilmente alti nel futuro prossimo venturo i corsi dell’oro nero.
Non è la prima volta che gli esperti di Washington guidati da Rodrigo Rato lanciano l’allarme sui rischi connessi al surriscaldamento del petrolio. Ma questa volta l’accento posto sul problema sembra maggiore del solito. Il motivo? Le tensioni che i rincari petroliferi scaricheranno sulle partite correnti globali, ovvero sulle bilance commerciali allargate a merci e servizi. Rendendo quindi ancora più ingovernabile il disavanzo statunitense, il cui peggioramento nell’ultimo biennio è stato provocato proprio dalle salate importazioni di greggio, schizzate complessivamente lo scorso anno a circa 800 miliardi di dollari.
Nel periodo 2004-2005, l’incremento dei costi petroliferi è stato superiore all’1% del Pil Usa, e solo la Cina ha sostenuto un peso maggiore (4% del Pil) nell’ambito del processo di industrializzazione in atto. Per il Fondo, un ampliamento del deficit americano (pari al 6,5% del prodotto lordo) rischia di portare a una caduta del dollaro e dunque a una successiva fase di inasprimento del costo del denaro da parte della Federal Reserve, tale da scatenare «una possibile nuova recessione», con ricadute su un’economia mondiale destinata inoltre a dover fare i conti con un’alta inflazione.

«Il vigore della crescita mondiale e la diminuzione delle capacità inutilizzate - spiega il Fmi - hanno ridotto l’effetto moderatore svolto dal calo dei prezzi all’importazione dei prodotti non petroliferi». Inoltre, il rapporto suggerisce di trasferire integralmente l’aumento dei prezzi petroliferi mondiali sui prezzi energetici interni, in modo da ridurre i consumi e attenuare così gli squilibri delle partite correnti.

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