Se facciamo l'inverso di Irap viene fuori la parola «pari». E qui stanno il problema e la discussione di questi giorni. Infatti, per tagliare l'Irap il governo avrebbe dovuto trovare un «pari» importo di spese da tagliare anch'esse. In modo da far tornare i conti, appunto, «pari». Ma non c'è riuscito, o meglio, ha deciso di rimandare il taglio dell'Irap al prossimo anno poiché ha già molto da tagliare per far rientrare il deficit nei parametri indicati da Maastricht.
L'Irap sarà dunque eliminata del tutto in tre anni a partire dal 2006.
Diciamo subito che questo governo in quanto a comunicazione non è quello che potremmo definire «il massimo». Né per precisione, né per univocità, né per chiarezza. Parlano in troppi e dicono cose come se partecipassero ad una sorta di gara di originalità. Se stessero zitti. E parlasse uno solo.
Detto questo dobbiamo anche ricordare ai lettori che l'Irap questo governo se l'è trovata perché l'aveva inventata il professor Visco, trovando d'accordo, a quel tempo, anche importanti rappresentanti della Confindustria. Lo ricordiamo per pura questione di giustizia. Ad ognuno i suoi errori. C'è anche da dire che quando questo governo si è apprestato a tagliare le tasse sono comunque emerse delle critiche, spesso contraddittorie le une con le altre, fatte sempre dagli stessi soggetti. A volte si è gridato allo scandalo che il taglio delle tasse avrebbe comportato uno sforamento nei conti pubblici. Altre volte si è gridato allo scandalo poiché l'alleggerimento della pressione fiscale avrebbe comportato un taglio nella spesa sociale. Nello specifico dell'Irap la stessa associazione degli imprenditori, che tanto aveva spinto per una sua riduzione, una volta visto quanto si poteva intervenire considerò i risultati di questa operazione come irrilevanti, e quindi ritenne di poter affermare che se ne poteva anche fare a meno.
Ora il governo fa una proposta saggia che è quella di un'eliminazione progressiva in tre anni di questa tassa iniqua e, secondo l'Europa, illegittima. Sarebbe auspicabile che comunicasse in modo dettagliato quanto e come intende ridurla nel triennio. Questo consentirebbe agli imprenditori e a tutti i soggetti interessati di poter, finalmente, e una volta tanto, sapere con certezza quando e quanto mettere a bilancio alla voce fisco.
Non c'è soggetto in Italia, forse escludendo gli onorevoli Bertinotti e Diliberto, che non abbia - in un momento o in un altro - invocato un taglio delle spese. Gli aggettivi sono stati i più diversi: inique, inefficienti, inefficaci, superflue, ingiuste, troppo onerose e chi più ne ha più ne metta. Ma anche ad essersi messi nella posizione che assume il cane da caccia in cima al barchino del cacciatore, non è stato dato di sentire qualcuno che abbia avuto la benevolenza di indicare dove usare le forbici. Tutti a dire tagliamo, nessuno che dica dove.
Desta anche una certa ilarità il (forse) futuro candidato premier, il professor Romano Prodi, quando chiede un'operazione verità sui conti. Ma veramente lui, i suoi, la Fabbrica del programma, tutti i professori di economia di cui dispone, non sanno indicare come sia la situazione reale dei conti dello Stato? Faccia lui con i suoi un'operazione verità. Ci dica esattamente qual è la situazione e - bontà sua - ci dicano quanto tagliare, dove e in che tempi. Che meraviglia sarebbe una campagna elettorale a colpi di pallottoliere.
La verità è che la scarsa crescita, come ha ricordato spesso il ministro dell'Economia Domenico Siniscalco, è quella che causa due fatti ugualmente negativi: tende a far aumentare il deficit perché tende a far diminuire il gettito fiscale. Meno sviluppo per l'economia, meno introiti fiscali per lo Stato.
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