La Forleo: "Io non ho ritrattato D'Alema chiamò in Procura"

Lo sfogo del giudice milanese al "Giornale": mi venne detto di non depositare certi dialoghi per non danneggiare il Pd. Che cosa ha detto al Csm. Il retroscena: storia di un depistaggio

La Forleo: "Io non ho ritrattato 
D'Alema chiamò in Procura"

Quel nome, Clementina Forleo si decide a farlo lunedì sera davanti ai Pm di Brescia: «Un giorno, la scorsa primavera, il Procuratore generale di Milano Mario Blandini mi chiamò nel suo ufficio e mi disse: qua ha chiamato D’Alema». D’Alema era preoccupato perché la pubblicazione delle intercettazioni dell’inchiesta Unipol-Bnl «avrebbe potuto danneggiare il nascente Partito democratico». E Blandini avrebbe suggerito al gip milanese una possibile via d’uscita: non depositare quelle conversazioni, punteggiate da giudizi non proprio lusinghieri su illustri colleghi Ds: oltretutto quelle telefonate non erano nemmeno state trascritte. Anche perché sul punto la legge era incerta.
Quell’episodio, la Forleo lo aveva solo sfiorato in coda alla denuncia presentata al Nucleo operativo dei carabinieri di Milano il 24 ottobre scorso. Ne aveva parlato con pochissime persone, in particolare con l’amico Ferdinando Imposimato che, a sua volta, in un colloquio riservato avvenuto a Roma le aveva descritto il pressing da parte di ambienti «politici e istituzionali» sul procuratore generale della Cassazione per aprire un procedimento discipinare contro di lei.
Lunedì sera, la Forleo affida ai Pm di Brescia anche quelle circostanze: le confidenze di Imposimato, l’incontro con Blandini. È lui il «soggetto istituzionale» che il Giornale aveva ripetutamente chiamato in causa la scorsa settimana. «Quello di Blandini - spiega la Forleo - non fu un ordine, ci mancherebbe, fu un consiglio, un suggerimento, uno scambio di opinioni. Inoltre Blandini mi fece capire che la telefonata non era arrivata direttamente a lui, ma a qualcun altro dentro il Palazzo di giustizia».
Ed è anche possibile che non sia stato D’Alema in prima persona a comporre quel numero di telefono. Qualche portaborse di casa nei Ds, forse eseguendo un desiderio del ministro degli Esteri, potrebbe aver contattato una toga milanese esprimendogli il turbamento del leader per la possibile circolazione di «telefonate di carattere privato». E questo magistrato girò il messaggio a Blandini perché lo recapitasse all’interessata.
«Io - aggiunge la Forleo - ho fatto solo il mio dovere». In effetti, le intercettazioni riguardanti D’Alema e Fassino non sono mai state depositate, ma il gip le ha fatte trascrivere e poi le ha messe a disposizione di un battaglione di avvocati, consegnandole di fatto all’opinione pubblica.
Sarà la Procura di Brescia a ricostruire tutta la trafila dei passaggi e lo spessore di questa storia. Così come sarà Brescia a cercare di dare un nome a chi ha inviato alla Forleo un proiettile in ufficio e l’ha presa di mira, a partire dall’estate del 2005, con telefonate e lettere anonime.
Ma l’Italia è un Paese strano e anche le inchieste raddoppiano. La Forleo si sentiva abbandonata dalle istituzioni? Ora la stringono con un abbraccio perfino soffocante. Così, martedì sera la scena si ripete a Roma, al Csm. «Al Csm - spiega ora lei - ho trovato un clima ostile, aggressivo». Il gip descrive episodi già noti: le scintille con i Pm di Brindisi che non avrebbero scavato a sufficienza sulle minacce ai genitori e le polemiche con l’Arma dei carabinieri. Non solo. I consiglieri vogliono sapere perché si è decisa ad andare in tv. Più che una deposizione è un interrogatorio. Qualcuno le chiede se abbia fatto riferimento al film Le vite degli altri, capolavoro che ricostruisce il clima di oppressione nella Germania Est del Muro. «Ma che c’entra?», si irrita lei. Poi replica: «Anche colleghi autorevoli, come Davigo e Caselli, sono andati in tv e non mi pare ci siano stati problemi».
Non basta. I consiglieri fanno domande sul capitolo bresciano. «Chiedeteli a quei magistrati», ribatte lei. Clementina Forleo è stanchissima, si commuove rievocando papà e mamma. Chiede una sospensione, si consulta con l’amica Giulia Bongiorno, avvocato di Giulio Andreotti. Le agenzie battono la notizia, falsa, che abbia ritrattato. In realtà la deposizione riprende e il gip, confortato dal legale, conferma le rivelazioni fatte 24 ore prima.

Con una differenza; a Brescia i verbali finiscono in cassaforte, a Roma no: «Qua è un colabrodo - osserva lei - prima qualcuno ha fatto credere che avessi fatto marcia indietro, come una pazza, una persona ondivaga e ballerina, ora esce di tutto e di più. Ma io, anche se a qualcuno questo può dispiacere, ho detto solo la verità».

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