La forza delle idee per la città del futuro

Che cosa racconta La memoria perduta di Milano(Skira editore, 126 pagine, 24 euro), la bella antologia curata da Stella Casiraghi? E' il tentativo di spostare il baricentro della memoria dalle nostalgie alla forza delle idee. Attraverso le parole di scrittori, giornalisti e intellettuali, da Montale a Testori, da Longanesi e Montanelli a Sergio Romano, Ernesto Galli della Loggia, Giacomo Marramao, è il desiderio di far riflettere su quale sia oggi il ruolo del capoluogo lombardo e se abbia ancora un senso parlare di un suo primato civile.
Diviso in tre parti, La città come principio e come orizzonte, Dialogo con la storia culturale di Milano, Milano in cerca di un'etica della memoria urbana, il libro riprende voci autorevoli del passato e le mette a confronto con ciò che nel tempo la cronaca politica ha sedimentato. Carlo Cattaneo e Cesare Correnti sono chiamati a raccontarci che cosa nell' Ottocento borghese e risorgimentale la città rappresentò al cospetto di una nazione appena formata; Alberto Savinio, Paolo Grassi e l'allora cardinale Montini rispondono all'appello di spiegarne lo stile e l'epica della ricostruzione; Giorgio Bocca e Guido Vergani il passaggio dalla città industriale alla «Milano da bere» tanto citata e tanto spesso mal rappresentata. L'insieme, accompagnato da un bel pannello centrale di immagini fotografiche (da piazza della Scala alla Malpensa, dal masterplan di Porta Nuova-Garibaldi ai nuovi fabbricati della Regione Lombardia, alla nuova Fiera, ai senza-tetto e alle baracche sulle sponde dello scolmatore dell'Olona), è un bel contributo al dibattito sul destino e sul significato di questa città nella vita economica e sociale del Paese. Tuttavia, ciò che più sorprende, è il rendersi conto di come, almeno dal secondo dopoguerra a oggi, gli interrogativi siano rimasti fondamentalmente gli stessi. E così il lettore contemporaneo, abituato a lamentarsi per una città sempre più invivibile, sempre meno proiettata dal punto di vista culturale e imprenditoriale, scoprirà che le stesse «geremiadi» venivano fatte in un'epoca che a noi, a distanza di tempo, sembra essere stata invece l'età dell'oro. La Milano degli anni Cinquanta e Sessanta, della Breda e della Pirelli, dei pittori del Giamaica e di Brera, del Piccolo Teatro di Strehler, del cinema di Luchino Viconti, della Scala di De Sabata e della Callas.
Ciò comporta una riflessione e permette anche di scrivere sul presente con senso critico certo, ma anche con meno ansia nostalgica.

Naturalmente, come dice nella sua introduzione Stella Casiraghi, Milano, «che ora più che mai è un sistema di attività economiche e sociali, per riprendere in mano il suo futuro deve ritrovare i propri compiti e vocazioni superando le rigide politiche conflittuali» e far quindi prevalere «il senso della necessità e non della contingenza», costruire la sua cittadinanza «su un progetto di lungo corso, su visioni concrete che sappiano denotare sia a livello simbolico che pratico il ruolo che la città si assume». Quello che però va evitato è proprio il ricorso a una memoria distorta del passato, il suo utilizzo retorico, ideologico, o politico.

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