La cosa peggiore che poteva capitare a un albanese degli anni passati - quelli del più duro regime sovietico al di là dellAdriatico - era il deficit. Se eri il gestore di un negozio (di proprietà ovviamente statale) e i controllori trovavano qualche ammanco nei conti dellesercizio, il destino era segnato: impiccagione sulla pubblica piazza. La sentenza era immediata e per lo sventurato non cera posto nemmeno nel cimitero della città: il corpo veniva dato ai cani. È questo quanto accade al padre del giovane protagonista senza nome del libro di Ron Kubati Il buio del mare (Giunti, pagg. 120, euro 12.50). Comincia così, con un crescendo di angoscia e di frasi sincopate, questo breve romanzo del 36enne scrittore nato a Tirana, cresciuto in una nota famiglia di intellettuali dissidenti e dal 91 in Italia. Capitoli asciutti, in una prosa ricercata nella sua essenzialità, descrivono la vita del «figlio dellimpiccato»: isolato socialmente dai compagni di scuola, con un fratello menefreghista e una madre distrutta dal dolore, «vive in un deficit che non è solo economico, ma esistenziale», spiega Kubati.
Il ragazzino protagonista del suo romanzo, ispirato a una storia realmente accaduta, trova rifugio solo nelle fantasie di un amore tutto platonico per Lili, la compagna di banco «che profuma di sapone». Di fatto, è Anton a prendersi cura di lui: ex sacerdote che, «non potendo esercitare», si è trasformato in pescatore e sodale dei dissidenti al regime, permetterà al ragazzino di salpare per quel mare buio che da sempre lo attrae. Condannato alla morte sociale e presenza quasi muta che si aggira tra un vicolo e laltro della sua città, il giovane protagonista della storia subisce prima di partire una metamorfosi: Anton gli assegna un nome, Luca, e gli appunta un indirizzo, quello di una suora, alla cintura.
Nellultima pagina un lampo di luce finalmente compare in questa che è in tutto e per tutto una «fiaba nera», la sola in grado di descrivere con efficacia lo spietato regime di Enver Hoxha.
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