Come funzionano, nel Nord Europa, le «finestre mobili»

La popolazione invecchia e il sistema previdenziale tradizionale - a ripartizione, in cui le pensioni sono pagate dai contributi dei lavoratori attivi - diventa sempre più difficile da sostenere: è un problema comune a tutti i Paesi europei.
In Italia più che altrove: un rapporto dell’Ufficio statistico della Comunità europea ha messo in luce che, entro il 2060, un italiano su cinque avrà più di 65 anni e quasi uno su dieci supererà la soglia degli ottanta. Una riforma previdenziale si impone, ed è quello che ha fatto la maggior parte dei legislatori europei, Italia compresa: l’ultima tappa è l’adozione del sistema delle «finestre mobili», che trae la sua ispirazione innanzitutto dal modello scandinavo, ma anche da quello tedesco. Tutti Paesi, ricordiamo, che già da tempo hanno adottato un «secondo pilastro» previdenziale, basato sui fondi pensione, che affianca validamente il «pilastro» della previdenza pubblica.
I lavoratori svedesi possono infatti scegliere liberamente fra circa seicento fondi pensione, diversificare il rischio, ripartendo i contributi anche tra diversi fondi - fino a un massimo di cinque - e trasferire le posizioni in tempo reale (con un preavviso di 24 ore). Il tutto sotto il controllo dell’Authority pensionistica, che provvede alla riscossione dei contributi e calcola la pensione spettante, garantendo che, per tutti i lavoratori di una stessa generazione, il calcolo sia basato su un’unica previsione della mortalità.
La mini-riforma italiana, approvata martedì dal Consiglio dei ministri attraverso il decreto anticrisi, prevede proprio un meccanismo simile: collegare l’età di ritiro dal lavoro all’aspettativa di vita, in base all’evoluzione demografica - verificata sulla base dei dati di Istat ed Eurostat - consentendo così di innalzare l’età di ritiro dal lavoro in modo graduale, senza bruschi «scaloni».
Proprio la gradualità è la filosofia ispiratrice della riforma previdenziale varata dalla Germania nel 2007. In pratica, l’età pensionabile passerà da 65 a 67 anni, aumentando di un mese all’anno fino al 2024, e di due mesi fino al 2029, quando la riforma sarà a regime.
L’unica eccezione prevista riguarda chi ha almeno 45 anni di contributi, che continua ad andare in pensione a 65 anni. «Quello ideato da Berlino è un percorso lungo - spiega il vicepresidente della Commissione Lavoro della Camera Giuliano Cazzola, primo firmatario dell’emendamento al decreto anticrisi che innalza l’età pensionabile delle dipendenti pubbliche - ma agevole, in quanto presenta «gradini» molto ravvicinati tra loro: si parla di mesi e non di anni fra uno scaglione e l’altro. Anche la mini-riforma varata dal governo Berlusconi interviene sulle «finestre», cioè i periodi in cui si può lasciare il lavoro avendo maturato il diritto alla pensione, in modo graduale: lo slittamento per ritardare l’uscita partirà dal 2015, prenderà a riferimento l’aspettativa di vita verificata nei cinque anni precedenti e non potrà essere superiore a tre mesi. D’altronde, il cammino lungo comincia sempre col primo passo».


All’esperienza dei Paesi del Nord Europa, culla dello stato sociale, si ispira anche un altro punto chiave della riforma: i risparmi ottenuti con l’innalzamento dell’età pensionabile resteranno all’interno del settore welfare, e non saranno utilizzati come un generico fondo cassa.

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