
I punti chiave
“L'invidia era costantemente con lui; il nemico era chiunque fosse qualcuno che lui voleva essere o che aveva qualcosa che lui voleva avere”. Così Truman Capote descrisse la propensione al male nel libro “A sangue freddo”, il primo romanzo true crime della storia, quello che gli richiese anni di lavoro e che cambiò completamente la sua vita.
Perché “A sangue freddo” parla di due brutali assassini, che in una mattina novembrina del 1959 hanno sterminato gran parte di una famiglia composta dai due genitori e da due figli minorenni, dopo un tentativo di rapina in cui non trovarono nulla di ciò che stavano cercando.
I prodromi
La famiglia Clutter viveva a Holcomb. Il capofamiglia, Herb Clutter, era un imprenditore agricolo benestante. Per capire meglio le dimensioni della vicenda, questa Holcomb (diverse cittadine hanno il medesimo nome negli Usa) si trova in Kansas, il più centrale degli stati e forse il più fiabesco nell'immaginario collettivo, dato che è proprio qui che è stato ambientato Il mago di Oz. Non ci sono dati online relativi al censimento di Holcomb del 1960, ma dieci anni più tardi la popolazione ammontava a 272 residenti: questo spiega perché in casa Clutter si lasciava la porta aperta. Quella di Holcomb era una comunità sicura, in cui tutti si conoscevano, e gli Stati Uniti non erano ancora stati travolti dai cambiamenti sociali che ci sarebbero stati negli anni ’60: questa strage sarebbe stata una doccia fredda in un clima diffuso di fiducia.
Oltre a Herb Clutter, la mattina della mattanza in casa c’erano la moglie Bonnie e i figli adolescenti Nancy e Kenyon, rispettivamente di 16 e 15 anni. Herb e Bonnie avevano anche due figlie, Eveanna e Beverly, ma erano grandi e avevano creato a propria volta delle famiglie. La loro era una famiglia abbastanza tipica, sebbene la madre avesse sofferto di qualche problema di salute: passatempi sani, studio, lavoro e casa per i diversi membri. Il ritratto tipico di una famiglia benestante dell’epoca.
I loro killer Perry Smith e Richard Hickock si trovavano fino a un paio di giorni prima nel penitenziario statale del Kansas, ma poi erano stati rilasciati sulla parola. Hickock era stato compagno di cella di tale Floyd Wells, un bracciante agricolo che aveva lavorato per Herb Clutter: Wells rivelò a Hickock che i Clutter tenessero molti soldi in casa in una cassaforte. Un’informazione errata che però generò grandi aspettative negli assassini: in realtà Herb Clutter era uno che si fidava delle banche e trattava i suoi affari esclusivamente con assegni. Così Smith e Hickock decisero di preparare un piano e giunsero, percorrendo in auto una distanza di 400 miglia, a casa Clutter la mattina del 15 novembre 1959. Il giorno dopo Truman Capote ne avrebbe letto in un trafiletto sul New York Times, iniziando un suo viaggio personale e un po’ cinico negli abissi del male.
La strage
Come accennato, quanto Smith e Hickock penetrarono in casa Clutter, non trovarono resistenze: la porta era aperta, era l’alba e tutti dormivano. Dapprima chiusero Bonnie con i figli in bagno, per cercare l’inesistente cassaforte nello studiolo di Herb, poi legarono tutti, dividendo padre e figlio da madre e figlia, tutti imbavagliati tranne quest’ultima. Herb e Kenyon furono portati in cantina, ma successivamente Kenyon fu separato dal padre e sistemato su un divanetto della stanza dei giochi, con un cuscino per farlo stare più comodo. Smith restò con Herb, mentre Hickock cercava la cassaforte: dopo che Hickock tornò dalla sua vana ricerca, Smith tagliò la gola al capofamiglia e poi gli sparò in faccia. Anche gli altri membri della famiglia furono uccisi da colpi di arma da fuoco, uno dopo l’altro.
La fuga
I due assassini raccolsero tutti i bossoli, rubarono una radio portatile, un binocolo e 50 dollari, il solo contante trovato in casa, e si diedero alla fuga. Dapprima furono nell’area di Kansas City, poi, secondo quanto riporta il sito di Gc Police Department, ripararono in Messico per un periodo, per poi dirigersi quindi in autostop in California, poi in Nebraska, nello Iowa, di nuovo a Kansas City, in Florida e infine in Nevada, dove furono arrestati il 31 dicembre 1959 ed estradati nei giorni successivi.
L’individuazione e la cattura fu permessa dal fatto che la polizia di Garden City, tra le prime forze a vedere la scena del crimine, notò un’impronta insanguinata e delle tracce di pneumatico, che permisero di mettersi sulle tracce dei killer coadiuvati dalla Kbi (gli inquirenti del Kansas) e dall’Fbi (ovvero gli inquirenti federali). In particolare riuscirono a risalire ai colpevoli attraverso la testimonianza di Floyd Wells.
Il giudizio
Smith e Hickock confessarono subito, anche se inizialmente le loro storie non collimarono: Smith asserì che Hickock avesse ucciso madre e figlia, mentre Hickock sostenne che Smith avesse sterminato l’intera famiglia: Smith non volle firmare la sua testimonianza e Capote, che seguì tutta la vicenda per il suo libro, dedusse che Smith avesse voluto accollarsi l’intera colpa della strage.
Il processo si svolse a Garden City, nel tribunale distrettuale della Contea di Finney: i due furono condannati a morte da una giuria composta esclusivamente da uomini il 29 marzo 1960, ma restarono per 5 anni nel braccio della morte, nel carcere federale di Leavenworth, dove furono giustiziati il 14 aprile 1965.
Lo stato si occupò delle sepolture: quella di Hickock fu un po’ più costosa, poiché il killer era un veterano della guerra di Corea, congedato con onore. Gli assassini sono stati sepolti nel cimitero di Mount Muncie. La loro ultima cena fu a base di gamberi speziati, patatine fritte, pane all'aglio, gelato e fragole con panna montata. Mentre attendeva la morte, Smith pronunciò le sue ultime parole, contro la pena di morte: “Penso che sia una cosa terribile che una vita debba essere tolta in questo modo. Lo dico soprattutto perché avrei potuto offrire molto alla società.
Credo fermamente che la pena capitale sia legalmente e moralmente sbagliata. Qualsiasi scusa per quello che ho fatto sarebbe inutile in questo momento. Non nutro alcuna animosità verso nessuno coinvolto in questa vicenda. Credo che questo sia tutto”.