Naturalmente è una furbata. E, furbescamente, comincia dall'archetipo del furbo che ci ha consegnato la letteratura: Odisseo. Un Ulisse poco dantesco e un po più mascalzone, una sorta di imbroglione che, per convincere Filottete a tornare a combattere contro i troiani, o per fuggire dalla caverna di Polifemo o ancora per entrare a Troia, usa ogni mezzo per seguire il proprio fine: di solito l'inganno, ma a volte anche il bene, se necessario, perché «Odisseo non può permettersi di rinunciare nemmeno alla giustizia e alla bontà: potrebbero sempre tornare utili. Il malvagio che si dedica esclusivamente all'inganno e al male è ben lontano dall'essere abbastanza astuto». Perché una cosa bisogna chiarirla: se è vero che molti malvagi sono astuti, non è altrettanto vero che tutti gli astuti sono malvagi, perché la furbizia è piuttosto l'anticamera dell'interesse, e non tutti gli interessi sono cattivi.
Nella storia. Nella morale. Nella politica. Quindi, dopo Ulisse, a chi può toccare? Ma naturalmente a colui che della furbizia fece una categoria della politica, sia pur nascondendola sotto il manto regale della ragion di stato: Niccolò Machiavelli, un Machiavelli un po mascalzone anche lui, quasi più un furfante messo in scena dalla sua Mandragola che un raffinato teorico del Principe, e così è inevitabile che «sesso e politica, politica e sesso: sembrano ambiti differenti, persino antitetici. Il sesso sembra peculiarmente privato, la politica peculiarmente pubblica (...) Ma sesso e politica sono anche gemelli (...) La politica è sexy, non da ultimo grazie alle qualità notoriamente afrodisiache del potere...» e ogni riferimento a Clinton è puramente voluto.
Il suo «Furbate» (Rizzoli, pag. 203, euro 9) Don Herzog, sempre furbescamente, lo definisce «un saggio filosofico». Ed è evidente il tentativo, indagando la teoria e la pratica delle furbizia, passando dalla letteratura alla cronaca, dalla filosofia alla storia, da Ulisse a Madre Teresa di Calcutta, una che quando ne aveva bisogno sapeva usare la furbizia per realizzare i suoi santi scopi, è chiaro quindi il progetto di scoprire se la furbizia deve essere collocata al di qua oppure al di là del bene e del male.
Perché, d'altra parte, il regno dei cieli sarà pure dei bambini e dei puri di cuore, ma non proprio degli sciocchi: «Restio a far passare la loro molle debolezza per una virtù, Kierkegaard li condannava all'inferno». Furbescamente, allora, la furbizia deve essere considerata un mezzo e non un fine, uno strumento che, di volta in volta, viene usato per porsi da un lato o dall'altro della linea morale. E se ieri, al tempo degli dei, la furbizia di Odisseo era capace di sconfiggere mostri e abbattere imperi, oggi, più modestamente ma forse in maniera più complessa, l'astuzia è un abito indispensabile senza il quale è impossibile andare in giro per il mondo senza essere alla mercè degli altri. Ma quella di Herzog non è la cupa visione hobbesiana degli uomini che si sbranano tra di loro né quella di un bosco pieno di volpi che giocano a fregarsi.
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