Politica

La con-fusione a caldo di due partiti già uniti

Dalla fusione fredda alla con-fusione calda. Dentro il padiglione della nuova Fiera di Roma, infatti, l’aria è bollente, la curiosità si accalca sulle transenne. Prima ci si ferma alle cancellate, dove qualcuno dei convenuti, in attesa di essere smistati tra delegati e invitati, a destra, e press a sinistra, fa foto sotto il logo congressuale. La prima cosa che ti domandi è se un osservatore scafato può riuscire a distinguere la gente di Forza Italia da quella di Alleanza nazionale, lo sport del primo pomeriggio è questo, epperò l’impasto antropologico sembra cosa fatta. L’aria dei delegati è interrogativa, attesa di qualche stupore che deve ancora arrivare.
Il padiglione 8 è gigantificato da una coreografia che ha mangiato ogni spazio e ha piazzato altrove stand e giornalisti. La base del palco degli oratori, vista di lato, assomiglia alla base dell’Ara Pacis. Qui si celebra il primo giorno di un post-congresso. L’assise di fondazione del Pdl è organizzata secondo regole del tutto nuove rispetto alle antiche grammatiche di partito: non si discute per dibattere, si comunica per persuadere chi guarda, in sala e alla televisione, che sorge un evento rivoluzionario nella storia politica italiana. Il post-congresso non ha un programma, ha un palinsesto scandito rigorosamente. Non ha una direzione, ha una regia. Non ha una cornice, ha un impatto. Si sbaglierà, ma ciò che ieri si è inaugurato alla nuova Fiera di Roma, accelerando tendenze pascolate altrove, che va oltre i codici congressuali ma certo non è definibile come kermesse o convenzione, è destinato a modificare per sempre le dinamiche di svolgimento dei congressi di tutti i partiti. È un post-congresso che prova a radunare a fattore comune la partecipazione di migliaia di delegati e la leadership carismatica, le regole della democrazia di partito e l’allestimento del palcoscenico per il Capo. L’abbraccio finale e la «ola» a mani giunte tra Berlusconi e gli altri fondatori del Pdl è immagine eloquente di questa nuova fase della comunicazione politica.
Evento totalizzante, il post-congresso produce un’atmosfera che non si può scomporre in politica e colore, delegati e folclore, carne politica e rarefazione mediatica, la devi osservare in blocco prima di decidere se piace o meno. L’entusiasmo del sindaco di Roma, Alemanno, e la sobrietà istituzionale del presidente del Partito dei popoli europei, Martens, non possono essere disgiunti dal fortunato inciampo della giovanissima speaker (nelle convention americane la chiamerebbero poster girl) Annagrazia Calabria, spinta sul palco da Quagliariello e Lupi, che amorevolmente imbranata accenna a Berlusconi come al «presidente del Con-Silvio». Come quando l’ultimo dei quattro ragazzi chiamati a testimoniare l’entusiasmo giovanile, finendo di parlare, urla uno slogan, «il domani appartiene a noi», titolo di un canto caro alla destra giovanile e subito parte lo stacchetto de «Nel blu dipinto di blu»: a fine post-congresso dovrebbe dunque esserci, per fare davvero con-fusione calda, «Il domani dipinto di blu».
Ieri, al post-congresso, era anche l’anniversario della prima vittoria del centrodestra e di Silvio Berlusconi, 15 anni fa, pietra simbolica su cui costruire la prima apparizione del Capo. E per spiegare perché il Pdl, «un popolo prima ancora che un partito», è venuto alla luce come partito destinato a durare decenni, il premier è partito da lì, dal mito fondativo delle origini, dalla scelta di appoggiare nel 1993 Gianfranco Fini nella corsa a sindaco di Roma, dalle parole pronunciate nel discorso della «discesa in campo», riportando indietro le lancette emozionali e pure il lessico all’atmosfera di quel primo stato nascente.
È stato discorso dell’armonia verso destra, tanto da citare l’uomo dell’Armonia Pinuccio Tatarella, in un diluvio di applausi, tra quelli che per primi hanno intuito la necessità di costruire una casa comune per la maggioranza degli italiani e dare anche all’Italia la possibilità di «una rivoluzione liberale, borghese, popolare e interclassista». «La libertà è la nostra religione laica» resta la citazione più bella assieme al «patriottismo della Nazione». Il governo come primato del fare.

Oggi, però, c’è da fare il post-congresso.

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