Controcultura

"Gaber è sempre qui e ora Oggi aiuterebbe a capire"

Il 1° gennaio 2003 moriva il grande artista "In teatro scatenava un crescendo rossiniano"

"Gaber è sempre qui e ora Oggi aiuterebbe a capire"

Dopo esserne stata moglie, musa e confidente, Ombretta Colli oggi è uno dei custodi dell'arte di Giorgio Gaber, un fuoriclasse così puro della canzone d'autore da averla traghettata fino all'inimitabile «teatro canzone». Gaber è mancato il primo gennaio 2003 e resta tuttora uno dei più lucidi e ispirati «osservatori sociali» del Dopoguerra. Ha intuito i cambiamenti spesso così tanto tempo prima che si verificassero da essersi, di volta in volta, inimicato tutto l'arco costituzionale. E questo è, dopotutto, la vera laurea di ogni artista libero fino in fondo. In una delle sue rare interviste, Ombretta Colli racconta perché oggi il Signor G (ci) manca così tanto.

Signora Colli, ormai sono diciott'anni senza Gaber.

«È vero. Ma nel caso di Giorgio e anche di mia mamma Franca, il tempo non conta o conta diversamente. L'assenza della persona amata è vissuta tutti i giorni, quindi è sempre nel qui e ora. Il dolore pian piano lascia spazio alla dolcezza del ricordo. A una nuova dimensione del legame. Pacificata e sempre presente».

Gaber è sempre stato fuori dal coro. Ma oggi che ogni coro sembra stonato che cosa direbbe?

«Gaber era unico e irripetibile. Anche per me le sue riflessioni, le sue intuizioni erano sempre sorprendenti, illuminanti e imprevedibili. Non ho proprio idea di come avrebbe letto e interpretato il presente, ma sicuramente avrebbe dato un bel contributo a far chiarezza».

Scrisse La mia generazione ha perso. Le nuove generazioni sono perdenti o vincenti?

«C'è un momento in cui senti che il futuro non ti appartiene più. Nel senso che non puoi più essere tu, per ovvie ragioni anagrafiche, a determinarlo; neanche in piccola parte. Giorgio aveva 63 anni ai tempi de La mia generazione ha perso e forse era già su questa lunghezza d'onda. Ma, saggio com'era, sapeva sempre indirizzare in modo intelligente le sue energie e l'ha fatto, ancora una volta con coraggio e originalità, tracciando un bilancio rigoroso e tagliente della sua generazione».

Come sta trascorrendo questa orrenda pandemia/lockdown?

«La mia grande fortuna è di aver sempre avuto vicini in questi lunghi mesi mia figlia, i miei nipoti, mio genero. E alcuni amici carissimi. Non mi sono mai mossa dalla nostra casa di Camaiore immersa nella pace e nella natura. Mi sento davvero una privilegiata».

Dopo 18 anni Gaber rimane comunque il più attuale dei grandi artisti del '900. C'è un suo brano che lei sente possa adattarsi alla fase che stiamo vivendo?

«Viviamo in un momento di sospensione anche se i problemi di tanti, se non di quasi tutti, cominciano a diventare molto, molto seri. Ma c'è molta imprevedibilità sul futuro immediato. In questi mesi il brano di Gaber e Luporini che mi torna più spesso in mente è L'attesa».

Gaber e Grillo si sono incontrati spesso.

«Eccome se si sono incontrati! Gaber gli ha fatto addirittura una regia nel 1990. Quando Grillo decise di frequentare i teatri e non più solo i palasport. Lo spettacolo era Buone notizie. Beppe stimava molto Gaber e credo che nei suoi anni giovanili sia stato un suo riferimento importante».

In un periodo come questo, che è senza concerti, come si ricorda le esibizioni di Gaber?

«L'esplosione energetica ogni volta in teatro. Si partiva piano, ma poi il crescendo era rossiniano. Alla fine era una festa di condivisione e di autentica appartenenza».

Pubblichiamo qui il testo di Quando sarò capace di amare. Gaber era un «uomo bambino»?

«Gaber era consapevole che essere adulti non è un traguardo definitivo. Vale per gli uomini e per le donne. L'adulto bambino è chi rimane testardamente attaccato al proprio ego anziché cercare nel noi una reale evoluzione».

Oggi ci sono artisti che in qualche modo le sembrano suoi eredi?

«No. Non ce ne sono perché Gaber, come altri suoi importanti colleghi come Lucio Battisti o Fabrizio De André, nella loro straordinaria unicità non saranno mai ripetibili».

Tutti i giovani artisti oggi si sentono eredi di questo o quell'altro. Ma nessuno si proclama erede di Gaber. Come mai?

«Credo che tutti avvertano il grande spessore di Gaber, non solo il suo talento».

Avete attraversato un periodo meraviglioso della tv. Come le sembra quello che vede oggi?

«La nostra era una televisione molto professionale, anche perché ogni trasmissione veniva provata a lungo. C'era un grande lavoro tecnico e creativo. Ora tutto è molto veloce e tecnologico. Mi pare quindi che la televisione di oggi faccia molta fatica a lasciare un segno profondo o duraturo. Tutto viene consumato troppo in fretta».

Il lavoro e l'impegno della Fondazione Gaber è enorme per conservare e diffondere il patrimonio di questo artista unico.

«Sì, siamo sempre al lavoro per tenere alta l'attenzione su Gaber, sulla sua figura e sulla sua opera. Dalia mi ha anche convinto a scrivere un libro, uscito da poco, sulla mia storia con lui. (Chiedimi chi era Gaber per Mondadori, ndr). Sento attorno a noi sempre grande disponibilità da parte di tutti, anche delle istituzioni».

C'è un verso di Gaber che può spiegare questo periodo così strano e sofferente?

«Io come persona ci sono.

Io con i miei sentimenti, la mia rabbia, le mie forze, ci sono».

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