Francesco Rizzo
Si chiamano Vipers, quelli dell'Hockey Milano, ma sarebbe ora di cambiare. Per esempio con Cannibals, perché cinque scudetti vinti di fila non sono più una notizia, diventano una dinastia. L'impresa era già riuscita al Cortina degli anni '60, il Cortina dei fratelli Da Rin, campioni cresciuti su una pista con le balaustre basse, tenute su da sassi che rotolavano via a ogni contrasto. Cosa è cambiato, da allora? Molto e nulla, l'hockey, in Italia, si gioca ancora tutto fra Dolomiti, Brennero e Navigli, ma il prestigio resta, la fame pure e ai Vipers sognano già il sesto titolo. Sarebbe record. Per ora si festeggia il 3-0 al Renon in una serie in bilico solo in gara 3, decisa ai rigori. E ci si guarda un po' indietro: tra tanti volti passati in questi anni a Milano, solo due giocatori pattinano con i Vipers dal 2000-01 - primo anno di questo club erede (fra passaggi intricati come un romanzo) del Saima tricolore nel 1991 - e hanno pure brindato a ogni scudetto. Si chiamano Andrea e Matteo Molteni, classe 1980. Il bello è che non vengono dalle culle tradizionali dell'Alto Adige o dal Canada. Sono di Cantù. E sono pure gemelli.
«Siamo cresciuti vicino a Como, abbiamo cominciato a giocare a 5 anni, con l'hockey ci sfogavamo, per la gioia di nostra madre», racconta Matteo, o forse Andrea che finge di essere Matteo, è un gioco che ammettono di fare. «Sul ghiaccio ci troviamo a occhi chiusi, ma siamo molto uniti anche fuori, in ogni esperienza». Giocano in attacco, a Milano li ha voluti Adolf Insam, l'allenatore gardenese che ha caricato l'orologio-Vipers fin dal primo giorno e ancora oggi ne cura gli ingranaggi. «Questo scudetto è loro più di tutti i precedenti: avrebbero meritato le Olimpiadi - dice proprio Insam -, con Dino Felicetti hanno formato la terza linea di attaccanti, la migliore nel rapporto gol fatti e subiti. Non pattinavano contro i migliori avversari, ma il loro contributo è stato decisivo».
Alchimie che esaltano i gemelli. I quali, non accontentandosi della normalità, si sono pure laureati in economia aziendale alla Bocconi, Matteo specializzandosi in marketing, Andrea nel settore moda. Alla faccia di quel detto canadese che paragona i giocatori di hockey ai muli, gente senza paura ma senza speranze. «In serie A non siamo gli unici a studiare - spiega Matteo, fresco di master -, anche se non è facile rientrare da Alleghe alle 5 del mattino e sostenere un esame alle 8. E poi non sempre, nell'università italiana, c'è comprensione per chi fa sport».
Potrebbero fare da ragazzi-immagine per il progetto di Lega delle società su cui lavora Alvise di Canossa, presidente dei Vipers, nel tentativo (l'ennesimo) di rilanciare il movimento: più spazio agli italiani, bilanci monitorati, tetto salariale, nuove piazze, investimenti nei vivai, stipendi che permettano ai giocatori di non gettare i pattini per cercare lavoro. Proprio quello che invece potrebbero fare i Molteni, «perché arriva il tempo di pensare al futuro». E forse si saziano pure i cannibali.
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