Economia

«Generali a Est per arrivare al 30% dei premi»

India al via: «Partiamo tra un mese con sei prodotti e avremo 2mila agenti»

da Milano

Bada al sodo, Sergio Balbinot, che di mestiere fa l’amministratore delegato delle Generali da 6 anni, in tandem con Giovanni Perissinotto, ma con il compito di far crescere la compagnia all’estero. Cioè nell’unico terreno che Trieste può ancora esplorare, dopo che l’Antitrust ha sancito che in Italia non c’è più spazio per crescere. Per questo la coppia si è divisa i compiti: Italia, finanza e M&A per Perissinotto, resto del mondo per Balbinot. Due diverse competenze che, unite alla presenza di un presidente forte, hanno sollevato critiche aspre. Come quelle del fondo Algebris, che considera inefficiente questo tipo di governance. E chiede, per Generali, un unico ceo. Chi ha ragione? «Io dico solo questo - afferma Balbinot in questa intervista al Giornale -: che questa squadra, con questa governance, ha portato ottimi risultati di bilancio che hanno trovato riscontro in un andamento del titolo che ha sovraperformato l’indice».
In ogni caso il suo settore è quello su cui si gioca il futuro della compagnia, o no?
«Oggi l’Europa continentale pesa per il 90% dei premi di Generali, il resto è nei mercati emergenti (Europa dell’Est e Asia, ndr). Ma di qui a 10 anni il baricentro si sposterà di molto: sui mercati emergenti si produrrà il 20, per non dire il 30% dei premi del gruppo».
Per questo puntate alla Russia. È vero che nel prossimo comitato esecutivo si parlerà dell’acquisizione della società Maks, che vale 5-600 milioni?
«Le confermo che la Russia è un’area dove vogliamo crescere. Attraverso Generali Ppf holding monitoriamo il mercato e se si presentassero opportunità interessanti e con valutazioni in linea con i nostri criteri, le coglieremo. Detto ciò, nel prossimo comitato non parleremo di Maks».
E ci sono novità sul fronte di Ingosstrakh, la società russa dove, tramite Ppf, siete soci al 38%?
«Ci tengo a chiarire che si tratta di un investimento di private equity, non ha carattere industriale. Certo, se i padroni di Ingosstrakh decidessero di vendere, noi valuteremo il da farsi. Viceversa rimarrà un investimento di private equity, che infatti è stato effettuato tramite un fondo, il Ppf Beta, e non tramite la holding Ppf».
Ppf è il gruppo ceco che rappresenta la vostra testa di ponte nei mercati dell’Est Europa. Come procede l’attività iniziata ufficialmente a Praga due mesi fa?
«Abbiamo creato la nuova holding, individuato le figure manageriali e formato centri di competenza nelle aree tecniche. Siamo in piena fase operativa. La collaborazione con il gruppo dirigente di Ppf è ottima e sta dando i primi risultati».
Oltre a Repubblica Ceca e Ungheria, dove siete molto presenti, quali sono i terreni delle prossime possibili mosse?
«Detto della Russia, gli altri due Paesi prioritari sono Polonia e Romania».
E la vecchia Europa? Come vanno Generali in casa dei concorrenti più agguerriti: in Francia dove c’è Axa, e in Germania con Allianz?
«In Francia abbiamo iniziato nel 2003 un’opera di ristrutturazione completata l’anno scorso che ha potato ad avere un unico brand. Ma non abbiamo perso di vista il mercato, crescendo sempre di più della media. Nel 2007 abbiamo fatto il 10,3% in più di premi, contro un mercato negativo del 3%, mentre nei danni siamo cresciuti del 3,1% contro la media del 2. Oggi abbiamo l’8% del mercato e, escludendo il bancassurance, siamo diventati il secondo gruppo nazionale, dietro Axa, superando di gran lunga Agf. Proprio Agf, che nel ’98 volevamo comprare... Oggi siamo più grandi noi».
E in Germania, con Amb?
«Anche qui abbiamo fatto il sorpasso: nel 2007 siamo diventati secondi, dietro Allianz, davanti a Ergo. E anche qui vantiamo crescita superiore al mercato: 3,1% nel vita contro lo 0,6%, 1,4% nel danni contro il meno 0,4%. E procede la ristrutturazione di Amb che porterà a regime, nel 2010, a 300 milioni di risparmi, ottenuti con un back office unico, fusioni societarie e accordi per 2mila esuberi, di cui ne sono già stati fatti 1.250».
Dica la verità, Balbinot: è una bella soddisfazione aver avvicinato Axa e Allianz a casa loro, no? E poi, entrambe hanno perso, dai massimi di un anno fa, 20 miliardi di capitalizzazione, mentre voi ve la siete cavata cedendone 4.
«Mi lasci solo dire che è il frutto della combinazione della nostra tradizionale solidità finanziaria e dell’attenzione che abbiamo posto al miglioramento della profittabilità e al dinamismo dei canali distributivi».
In Cina siete presenti dal 2002, avete 6 licenze nel vita e da poco anche una nei danni. Cosa farete ora?
«Intanto stiamo per ottenere la settima licenza, nella regione di Sichuan. L’idea è di ottenerne una nuova ogni anno. E tenga conto che ogni licenza è come dire una compagnia ex novo. Abbiamo 7mila agenti, 1.500 dipendenti e accordi con 5 banche per vendere polizze in 788 sportelli».
Quanti premi?
«Nel 2007, 300 milioni. Ma quello che per ora conta è il posizionamento del marchio e la credibilità che ci stiamo guadagnando. Questo è il valore strategico della nostra presenza in Cina. Dove siamo entrati nel gruppo dei tre maggiori player esteri, con Aig e Aviva».
Quando partite in India?
«Ci siamo: è ormai questione di settimane per la registrazione di 6 prodotti assicurativi che inizieremo a vendere tra maggio e giugno, a Mumbay. Stiamo reclutando 2mila agenti e partiremo anche con 30-40 punti vendita nella grande distribuzione».
Per l’assemblea di aprile. Tutto tranquillo?
«Le assemblee sono momenti importanti di confronto tra società e azionisti.

E noi il 26 aprile presenteremo dei risultati che ci danno grande serenità».

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