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Il Genoa inventa il patto della salsiccia

Tutti a casa di Cosmi con la suocera in cucina. Ma stasera anche il Venezia diventa un incubo

Diego Pistacchi

da Genova

I genovesi, che se si può risparmiare qualcosa non si tirano indietro, dicono maniman. Che di per sé è intraducibile, ma vorrebbe più o meno dire: «Sì, è vero, non può essere altro che così, ma metti che qualcosa per caso, proprio stavolta...». Ecco, a Genova dicono tutti maniman. Perché il Genoa che in casa batte il Venezia già retrocesso (e in sciopero del grano perché gli stipendi non arrivano da mesi) per tornare in serie A dopo 10 anni non la farebbe giocare neppure la Snai. Ma maniman. E per una traduzione migliore, chiedere a un interista che si prepara all’ultima partita di un campionato con due punti di vantaggio su Juve e Milan e si gioca lo scudetto a San Siro contro la Longobarda.
Sì, in questa vigilia di big match, a Genova c’entra anche la squadra di Oronzo Canà, il Lino Banfi in celluloide e tuta da mister che sbeffeggiava l’Italia della pedata. Serse Cosmi ai suoi giocatori deve far capire che non ci sono più moduli e tattiche, schemi e finte: per battere il Venezia e la sfiga basta il Genoa, semmai anche messo in campo con il 5-5-5 che tanto piaceva al profeta della «bi-zona» in technicolor. E allora il «ritiro» è a casa dell’allenatore, al posto della lavagna appaiono tv e videoregistratore che rilanciano il film cult del 1984. La dieta è appropriata: la suocera di Cosmi è in cucina e non risparmia la salsiccia. Fino al momento in cui scorrono i titoli di coda e tocca a un’altra cassetta. Il video propone Maradona. Le sue giocate più belle, i gol della leggenda, l’esaltazione dei suoi tifosi. Ecco, Marassi dovrà fare lo stesso. Diego in campo ci sarà. Di cognome fa Milito, ma quando la Nord lo chiama per nome, all’argentino basta chiudere un attimo gli occhi. E al Genoa basterebbe il suo sigillo numero venti sul campionato.
Anzi, no. Un gol solo, no. Perché maniman. E allora «c’è Caccia che fa gol e la Nord esulta» urleranno stasera i trentatremila che di più non ce ne stanno al Ferraris. Mentre lui, Caccia Nicola, professione goleador da sempre, 35 anni di esperienza, non dorme da una settimana perché sa di essere uno di quei «gemelli diversi» obbligati a scendere in campo dalla squalifica di Stellone.
Non dormono neppure i tifosi. E chi si è svegliato tardi è rimasto senza biglietto. Almeno uno ogni due, perché la società ha ricevuto richieste per far entrare oltre sessantamila persone nel «catino» che i grifoni difendono con gli artigli dai progetti di chi lo vorrebbe buttare giù. Di certo tutte le sarte di casa hanno passato notti insonni, a giudicare dal numero di nuovi striscioni e bandiere che ogni mattina spuntano sui terrazzi della città. All’indomani della retrocessione in serie C («condonata» due mesi dopo dal ripescaggio) l’orgoglio dei genoani aveva lanciato l’iniziativa «centobalconi», e i drappi rossoblù in città avevano superato ogni attesa. Oggi, per rendere un’idea più consona delle proporzioni, bisognerebbe prendere in prestito quell’«in dieci o centomila» che risuona nelle parole dell’inno del Genoa. Mentre per evitare gli ingorghi c’è anche chi stasera sceglierà di arrivare a Genova in battello. L’ultima volta una spedizione simile ci fu nel 1989, per la sfida Genoa-Bari. Valeva la serie A. E la promozione arrivò.

Ma maniman.

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