Genocidio armeno, Ankara richiama gli ambasciatori in Francia e Canada

Turchia furiosa con Parigi perché prepara una legge che prevede anche il carcere per chi nega il massacro perpetrato nel 1915

Marta Ottaviani

da Istanbul

Un avvertimento. E l’inizio di una vicenda diplomatica quanto mai delicata. Sta di fatto che questa volta la Turchia ha deciso di giocare pesante. Ieri pomeriggio, a sorpresa, il portavoce del ministero degli Esteri, Namik Tan, ha annunciato che l’esecutivo di Ankara ha deciso di richiamare in patria gli ambasciatori in Francia e Canada.
Il motivo è lo stesso ormai da diversi mesi: la questione del genocidio armeno, che la Turchia continua a non riconoscere, nonostante le insistenze di diversi Paesi. I rapporti sono particolarmente tesi con la Francia, perché l’assemblea nazionale il prossimo 18 maggio dovrebbe votare una legge che prevede un anno di prigione per chi nega il genocidio del 1915 ai danni della popolazione armena che viveva nell’allora Impero ottomano. Un’iniziativa che è piaciuta poco al governo Erdogan, tanto da minacciare, la settimana scorsa, «gravi danni» alle relazioni internazionali fra le due nazioni se questa legge sarà approvata.
E ieri la Turchia ha dimostrato che non scherza. In uno scarno comunicato il ministero degli Esteri ha reso noto che gli ambasciatori sarano trattenuti ad Ankara solo il tempo necessario per i colloqui e che successivamente torneranno nelle loro sedi diplomatiche. Non solo. La comunità turca residente in Francia ha annunciato l’intensificazione dell’attività di protesta contro un provvedimento giudicato «offensivo e ingiusto». Lo scorso 24 aprile, data in cui viene convenzionalmente ricordato il genocidio armeno, migliaia di dimostranti si sono radunati per protestare in una piazza di Parigi, sotto il monumento che ricorda lo sterminio in cui persero la vita oltre un milione di persone. Ma i turchi residenti in Francia non sembrano essere gli unici oppositori della legge. Un gruppo di 19 intellettuali e storici francesi ha fatto appello all’Assemblea nazionale per non fare votare il provvedimento perché, si legge nel documento, «nelle democrazie la verità storica non si può stabilire con una legge».
I rapporti con il governo francese non sono mai stati molto distesi, considerata la sua aperta opposizione all’ingresso della Turchia nell’Ue. La situazione è precipitata dall’8 marzo del 2004, quando il Parlamento turco ha votato all’unanimità una mozione in cui si respingeva su tutta la linea l’ipotesi di riconoscimento del genocidio armeno. Non sono certo più serene le relazioni con il governo di Ottawa, soprattutto dopo che il premier canadese, lo scorso 24 aprile, si è detto favorevole al riconoscimento dello sterminio perpretato ai danni della popolazione armena.
I tempi delle conferenze di Istanbul e Kayseri (quest’ultima appena un mese e mezzo fa) sembrano lontanti anni luce. Quei faticosi ma significativi tentativi di dialogo fra accademici armeni e turchi per rendere giustizia a migliaia di morti sono stati spazzati via dal più eclatante dei provvedimenti diplomatici. La stampa turca, intanto, attacca. Le versioni online dei quotidiani Hürriyet e Zaman invitano la Francia a chiedere scusa per i massacri in Algeria prima di criticare altre nazioni.
Quali potrebbero essere i risultati dei colloqui con i due ambasciatori, per il momento non si sa.

Il governo non ha reso dichiarazioni in merito. L’unica cosa chiara a tutti è che adesso in gioco c’è l’Europa. E che la questione del Ermeni Soykirimi iddialari (il «cosiddetto genocidio armeno», come lo definiscono in Turchia) va chiarita. Una volta per sempre.

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