MA GENOVA CONTA SUI SOLDI DEGLI AVI

Il film di Soldini ha il solo handicap di essere stato girato in una Genova dove tutti, da anni, sperano che i problemi economici debbano essere risolti da leggi dello Stato, com’è successo con la siderurgia e il caso amianto. Purtroppo, però, le cose sono cambiate. È finito il tempo degli interventi a pioggia sulle partecipazioni statali e dello Stato-chioccia. A Genova, ed è questa la differenza rispetto ad altre realtà, invece di cercare soluzioni alternative o comunque di darsi da fare per cambiare la situazione, ci si affida sempre all’«ombrello» dei parenti più vicini, siano genitori o suoceri. Mi è capitato di vedere famiglie dove padre e madre lavoravano, portando due buoni stipendi a casa, che improvvisamente sono andate in crisi quando uno dei due ha perso l’occupazione.
In Lombardia, in casi del genere, ci si industria per portare comunque una paga a casa. A Genova, invece, chi è in difficoltà finisce sempre per chiedere aiuto ai propri genitori o, in mancanza di questi, a quelli della moglie. Del resto ne conosco diversi - anche industriali noti - che, accontentandosi di sposare una donna bruttina, si sono sistemati in famiglie dalle buone possibilità economiche.

In altre parole, l’arte di appendere il cappello è molto diffusa oggi a Genova, come lo era ieri e l’altro ieri. E così il «tesoretto» degli avi diventa l’unica certezza su cui poter contare. E chi non ce l’ha, si arrangia.

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