di Ferruccio Repetti
Doveva essere, ma solo in parte lo è stato, il «Burlando day», quello di ieri in Consiglio regionale, nel senso del giorno dell'apoteosi nella campagna di autopromozione del governatore-imperatore Claudio I, ormai stabilmente impegnato a riciclarsi come «rottamatore» della vecchia politica e sostenitore, unico e solo, di progetti di sviluppo per la città, la Regione, l'Europa e il resto del mondo. Non a caso Burlando ha aperto la seduta dell'assemblea legislativa della Liguria con un intervento che ha spaziato dalla macroeconomia ai massimi sistemi, diretta appendice dell'aria fritta respirata a pieni polmoni dai presenti al recente convegno del Ducale, fortissimamente voluto dallo stesso Burlando, sulla «crescita felice». Anche solo qualche passaggio della relazione di ieri del presidente della Regione illumina: «Ci troviamo in una crisi drammatica, che è iniziata nell'autunno del 2008...». E ancora: «Siamo in una fase in cui una parte del mondo, alcuni Paesi europei, quelli del Mediterraneo, nello specifico...». Quale specifico? Arriva la risposta, basta ascoltare, e guai a addormentarsi: «La crisi può finire soltanto se facciamo delle cose coerenti per farla finire». La mazzata finale, roba da tramortire un bufalo: «Dopo il boom economico si è pensato fosse conveniente per l'Occidente produrre in Paesi a basso costo di manodopera, immaginando che il ciclo economico governato con bassi costi in quei Paesi potesse reggere su un'economia terziaria».
Di fronte, Burlando aveva uno sparuto drappello di supporter della maggioranza, e molti membri dell'opposizione, autori questi ultimi di «sonori mormorii», anche in parte giustificati dalla responsabilità di stare svegli aspettando il dibattito. Ma di fronte allo scranno del governatore, compostamente seduti nel settore del pubblico, proprio ieri mattina c'era una numerosa rappresentanza del Paese reale: quello che è stanco di sentirsi fare promesse e garantire solo tavoli di lavoro, quello che è stufo di pagare le colpe degli altri e trovarsi da un giorno all'altro in cassa integrazione o addirittura a spasso, mentre il «Paese legale», ora decisamente rimpinguato da 163 parlamentari a 5 stelle, passa il tempo a interrogarsi sulla «non vittoria»piuttosto che sulla «non sconfitta» o la «non sfiducia». Erano loro, i dipendenti della Fiera di Genova, a seguire ieri mattina con un certo stupore i «lavori» nell'aula di Consiglio, anche perché erano loro ad avere appena ricevuto la notizia del taglio di 31 posti di lavoro su un totale di 57. Per questo, i dipendenti della società di piazzale Kennedy erano venuti lì, nel «Palazzo», a chiedere una prospettiva, una speranza, un qualcosa di più della semplice solidarietà.
Così, appena Burlando ha chiuso la sua relazione-wow! - promettendo «tre iniziative su portualità, credito e lavoro» - il Consiglio si è spostato in blocco in una sala laterale ad ascoltare le ragioni dei lavoratori della Fiera, che poi non sono tanto diverse dalle ragioni dei lavoratori di Selex Elsag, Amt, Fincantieri, e delle aziende dell'edilizia, del comparto artigiano, del commercio, dei servizi... Per tutti, anche ieri, l'impegno «a individuare iniziative che portino sviluppo». Ma bastava vedere le facce di quelli che uscivano dalla riunione per capire che l'impegno assunto all'unanimità non è che fosse proprio una garanzia di salvezza. Dall'incontro fra sindacati, lavoratori, giunta e capigruppo regionali è scaturito che «la Commissione attività produttive farà consultazioni a tutto campo per trovare soluzioni, molti capigruppo si sono dichiarati contrari all'ipotesi stadio nell'area espositiva, e Burlando ha lanciato l'ipotesi di utilizzo della Marina per cose nuove». Mah.
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